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Premessa
Sappiamo che un suono “musicale” è caratterizzato principalmente da 4 parametri: 1) altezza (se nello spettro di frequenza spicca una frequenza “fondamentale”, ossia una frequenza “privilegiata”, che cioè “contiene” un’energia maggiore delle altre), 2) intensità (potenza acustica in W), 3) durata, 4) timbro (riconducibile con molte limitazioni alla forma dello spettro di frequenza). Un tale suono può essere generato dalla voce umana o da uno strumento musicale ed è ottenuto sfruttando il fenomeno fisico detto "risonanza", che comprende modi di oscillazione dipendenti da vari fattori fisici, come la costante elastica e la massa.
Io uso qui la distinzione tradizionale tra suono e rumore, una distinzione non netta ma che, semplificando un po’, è riconducibile alla composizione dello spettro di energia acustica. Quello del suono contiene in prevalenza righe equispaziate, cioè frequenze isolate equispaziate, dette anche “parziali armoniche” o “armonici”, per distinguerle dalle"parziali non armoniche", cioè non equispaziate, presenti in suoni più complessi, a volte modulati. Lo spettro del rumore ha una distribuzione di frequenza prevalentemente continua benché di forma varia . E’ molto diffusa una composizione mista dello spettro, ossia a righe e continua in proporzioni diverse, che riguarda i suoni emessi dagli animali per comunicare; in questa categoria rientra anche il linguaggio verbale umano, il parlato. Il canto, invece, fa parte della categoria condivisa con gli strumenti musicali. Chiamerò questa categoria “suono armonico”. La musica “colta” dal XX secolo in poi ha iniziato a usare sempre di più i rumori in funzione non più solo ritmica come era sempre stato, ma anche per così dire“melodica”, affievolendo di fatto la distinzione tradizionale tra suono e rumore e usando soltanto la parola “suono” come omnicomprensiva. Qui però sto cercando di indagare l’origine e la natura di quel suono che ha portato a comporre aggregazioni sonore chiamate poi “musica”.
Risonanza e onde stazionarie
La risonanza è un fenomeno fisico ben conosciuto. Nel sito dell'Università di Modena e Reggio Emilia se ne trova una definizione: “Si dice risonanza il fenomeno per cui un sistema oscillante è in grado di assorbire energia da una sorgente esterna in modo particolarmente efficiente solo ad una (o più) frequenze ben precise”. (https://fisicaondemusica.unimore.it/Risonanza.html).
La risonanza è legata al formarsi di onde stazionarie,onde la cui frequenza rimane invariata nel tempo (almeno nei sistemi LTI, Linear Time Invariant ossia lineari e tempo invarianti) e che possono essere considerate la modalità con cui il sistema oscillante assorbe energia da una sorgente esterna.
In un sistema oscillante ideale, l’energia assorbita da una sorgente esterna passa in modo ciclico e continuo da potenziale a cinetica e viceversa (la loro somma rimanendo costante) e forma così oscillazioni, onde, ossia variazioni ripetute, alternativamente positive e negative rispetto a un valore di equilibrio. Se il sistema è “chiuso”, l’energia ondulatoria rimane intrappolata al suo interno e forma onde stazionarie, onde che cioè variano nel tempo ma non nello spazio. In realtà, affinché le onde stazionarie si formino, non è necessario che il sistema sia completamente chiuso. Si formano anche in sistemi quasi chiusi e, anzi, è proprio questa la condizione in cui sono utilizzabili per vari scopi, tra cui la creazione del suono.
In un'onda stazionaria si chiamano “nodi” i punti dello spazio in cui l’ampiezza è nulla, e questo accade quando essa passa da un valore positivo a quello negativo opposto o viceversa, mentre i “ventri” (o "antinodi") sono quei punti in cui l’ampiezza è massima. Ma, come dicevo, se il sistema non è del tutto chiuso una parte dell’energia contenuta nelle onde stazionarie viene ad esse sottratta dall’ambiente circostante che, se è aperto, come l’aria, la propagherà formando onde non più stazionarie ma “transitorie" o "progressive”, onde di pressione che trasportano energia che può essere percepita come suono se la loro frequenza cade nella banda udibile e se la loro intensità è compresa tra 10-12 e 1 W/m2. Un sistema oscillante quasi chiuso diventa quindi una sorgente di energia oscillante che può propagarsi nell'ambiente circostante.
Tutti gli strumenti musicali si basano su questo principio.
Il comportamento che si determina nel sistema oscillante in seguito all’assorbimento di energia è quindi costituito da onde stazionarie più o meno “frastagliate” ma stabili in frequenza, il cui spettro è “a righe”, ovvero composto da frequenze determinate, distanziate l’una dall’altra, ognuna di ampiezza generalmente diversa, dette “frequenze di risonanza”. In generale la distanza numerica tra tali frequenze è qualsiasi, dato che un sistema è composto da più oggetti con caratteristiche fisiche diverse. Un sistema (non necessariamente LTI) può oscillare se dotato di una forza di richiamo che agisce per riportare il sistema stesso verso una posizione di equilibrio. La forza più diffusa nei sistemi meccanici è quella elastica. L’elasticità che serve alla musica è soprattutto quella dei metalli e quella dell’aria, ma è usata anche quella che proviene da certi vegetali (es. canne di bambu), da alcuni animali (corde di budello) e da prodotti sintetici.
Le onde stazionarie hanno a che fare per loro natura con i numeri interi. Lo vediamo, ad esempio, in una corda elastica ideale di lunghezza L fissata agli estremi. L’energia impulsiva che riceve, per esempio percuotendola o pizzicandola, genera onde stazionarie che non possono avere altro che un numero intero n di periodi, le cui lunghezze d’onda λ saranno 2L, L, L/2, L/3, … L/n a cui corrisponderanno altrettante frequenze fn = vn/2L con n= 1, 2, 3…, dove v è la velocità di propagazione nel materiale della corda (modi oscillatori normali alla corda), che dipende dalla sua densità lineare e dalla sua tensione. Nella figura si vedono ventri e nodi. Poiché la corda è fissata ai 2 estremi, in quei 2 punti devono esserci 2 nodi.
Le onde non possono uscire dalla corda e quindi vi “stazionano”. Possono però cedere parte della loro energia all’aria che le circonda, generando un suono armonico.
Gli strumenti a fiato si basano sulle onde stazionarie che si creano in un tubo (oggetto prevalentemente unidimensionale, come la corda) aperto a un'estremità o a entrambe, cosa che consente la propagazione di onde acustiche, ossia di suono.
Esempi di strumenti aperti a una sola estremità: clarinetto, oboe, fagotto, sassofono. Esempi di strumenti aperti alle 2 estremità: flauto traverso, flauto dolce, tromba, trombone.
Un fenomeno simile si manifesta in un volume definito di aria, dotato di simmetria, come è per il Risonatore di Helmholtz.
Esso è costituito da un’ampolla sferica e da un piccolo condotto pseudocilindrico. Lo studio fisico dimostra che la risonanza è originata dal collo del risonatore, in cui l’aria si comporta come un sistema costituito da una “massa” (un corpo pesante) e da una “molla”. La “massa” è l’aria contenuta nel cilindro, mentre la “molla” è l’aria contenuta nel recipiente sferico; maggiore è il volume del recipiente, maggiore è la“cedevolezza” del volume d’aria (la cedevolezza massima è quella dell’aria aperta), minore è la frequenza di risonanza principale (quella più bassa).
In generale possiamo dire che oggetti elastici dotati di simmetria spaziale danno luogo a un minore numero di modi di oscillazione, che possono essere suddivisi in gruppi, ognuno dei quali formato da modi armonici: l’energia oscillante si distribuisce solo su alcune frequenze (di risonanza), dette “parziali armoniche”, o semplicemente "armoniche" (oppure “armonici”), che possono costituire dare vita a un "suono armonico"
Simmetria e unidimensionalità
Una definizione di “simmetria” è “disposizione, collocazione ordinata e armonica delle parti che costituiscono un insieme”.(Garzanti linguistica). Ma sul piano scientifico la definizione è più articolata e precisa: “proprietà di figure geometriche in cui i punti corrispondenti si trovano allineati da parti opposte e alla stessa distanza rispetto a un punto (centro di simmetria), a una retta (asse di simmetria) o a un piano (piano di simmetria): simmetria sferica, radiale, ortogonale,speculare; la simmetria di un edificio, di una facciata, dei bracci di un lampadario | (biol.) corrispondenza di vario tipo che si riscontra nell’aspetto dei diversi organismi viventi |classe, gruppo di simmetria, (min.) in cristallografia, raggruppamento di cristalli in base ai loro elementi simmetrici (punti, rette, piani)”. (Garzanti linguistica).
Un bell’esempio di suono armonico ottenuto dalla simmetria circolare è la Campana Tibetana, una sorta di vaso circolare fatto di una lega di 7 metalli: strofinandone il bordo con un batacchio di legno in senso circolare, si genera un suono prolungato e piacevole.
Un altro strumento, da considerare a percussione e fondato su simmetrie circolari è lo Hang, inventato nel 2000, evolutosi poi in Handpan, che puo generare un numero maggiore di suoni armonici leggermente modulati.
Il pendolo semplice, quando compie piccole oscillazioni, cioè finchè è descrivibile come sistema lineare, ha una sola frequenza di risonanza, in genere dell'ordine degli Hz o loro frazioni: per questo motivo ai fini musicali può essere utilizzato solo come "misuratore della velocità dei battiti" (Metronomo).
Regolarità
Oggi la tecnologia digitale permette realizzazioni impensabili fino a pochi anni fa ed è ormai possibile spingere la ricerca sul suono in territori veramente entusiasmanti per chi vi si appassiona. Ma se restiamo nell’ambito della meccanica (alla quale, infine, anche l’elettronica ci riporta attraverso l’altoparlante) possiamo tentare di riflettere su una cosa che hanno in comune tutti gli strumenti musicali: l'unidimensionalità o almeno la simmetria.
In fondo l’unidimensionalità e la simmetria non sono altro che aspetti di una regolarità spaziale, ossia una situazione in cui la forma di un oggetto è esprimibile tramite un legame fisso tra certe parti di esso. Questo legame rende sintetica la descrizione dell’oggetto e dà luogo anche e soprattutto a una semplificazione costruttiva. In generale, la regolarità spaziale è abbastanza ben percepibile visivamente, essendo in stretta relazione con la ripetitività e con certe proporzioni tra le dimensioni spaziali, che l’occhio è abituato a cogliere. Teniamo presente che le onde stazionarie si formano in qualunque volume chiuso o quasi chiuso abbastanza regolare (simmetria) e che, quelle acustiche, le si possono percepire bene all'interno di edifici, sotto forma di "rimbombo" o di "effetto Larsen" . un effetto che si crea nei sistemi microfono-amplificatore-altoparlante, in cui è sempre possibile un rientro nel microfono dell'energia acustica emessa dall'altoparlante, creando oscillazioni a frequenza udibile assai fastidiose.
Per ottenere suoni ben definiti in altezza occorre generare modi oscillatori solo armonici, quelli cioè le cui frequenze sono un numero intero di volte maggiore della frequenza più bassa, detta “fondamentale”o “prima armonica”. A questo scopo si usano per lo più corde o tubi, ossia risonatori quasi unidimensionali, in cui cioè una dimensione spaziale (la lunghezza) prevale nettamente sulle altre due. In tal modo la fondamentale e gli armonici di quella dimensione diventano preponderanti e udibili, mentre le oscillazioni prodotte nelle altre due dimensioni possono essere così flebili da non potersi rilevare a orecchio; l’unidimensionalità quindi produce un effetto filtrante.
Suono armonico
Come esiste la regolarità spaziale, esiste anche la regolarità o simmetria temporale. Il caso più semplice è forse quello di un rumore che si ripete a intervalli uguali, un battito, un evento fisico dotato di una periodicità percepibile. Molto più complessa e non immediatamente associabile alla simmetria è la costituzione interna del suono armonico, che si distingue proprio per la regolarità (periodicità) dello spettro a righe equidistanti, cui corrisponde una periodicità temporale. Dunque esiste una corrispondenza tra la regolarità spaziale e quella temporale ed è ad essa che si deve la produzione del suono armonico.
Se l’energia ricevuta dal sistema oscillante è impulsiva, la risposta conterrà oscillazioni smorzate, perché una parte dell’energia verrà dissipata in calore. Per generare oscillazioni permanenti, è necessario fornire energia continuativa al sistema. Gli strumenti musicali usano entrambe le modalità. La prima modalità riguarda gli strumenti a corda in cui le oscillazioni sono smorzate perché l’energia è fornita tramite impulsi isolati: le corde vengono pizzicate (chitarra, arpa, mandolino, etc.) o percosse (pianoforte, xilofono, etc.). La seconda modalità riguarda gli strumenti a corda in cuil’energia viene fornita in modo continuo, o tramite un archetto (violino e tutta la famiglia degli “archi”) o tramite aria a pressione (ottoni, legni, organo a canne, etc.). Occorre precisare che gli strumenti musicali che emettono suoni puramente armonici sono solo un'esigua minoranza. Nella maggior parte dei casi, insieme alle parziali armoniche si trova anche una certa quantità di parziali non armoniche e di rumore, elementi che contribuiscono af ormare il timbro dello strumento, arricchendolo. Quindi in realtà gli strumenti emettono suoni complessi, descrivibili come prevalentemente armonici.
Quando le dimensioni fisiche dell’oggetto oscillante sono all'incirca confrontabili con quelle del corpo umano, lo sarà anche la lunghezza d’onda delle onde stazionarie che si generano nell'oggetto. La lunghezza d'onda L varia naturalmente inconseguenza alla velocità di propagazione v propria dell'oggetto oscillante, secondo la nota formula L=v/f. Se l’ambiente circostante l'oggetto è sufficientemente aperto, le oscillazioni di pressione vi si propagano alla stessa frequenza e si manifestano alla nostra percezione come suono udibile. Infatti la lunghezza d’onda L del suono udibile varia (ottimisticamente) tra 17 metri e 1,7 cm (per l’aria a 20 °C, v = 340 m/s circa). Anche l’aria è in grado di oscillare con onde stazionarie se posta in ambiente quasi chiuso e dotato di simmetria spaziale, come ho mostrato nelle figure che riguardano i tubi aperti: è il principio degli strumenti musicali “aerofoni”, come il flauto.
Mondo minerale, vegetale, animale
Nel mondo minerale la simmetria è visibile solo nei cristalli, che, oltre a non essere così diffusi, sono per lo più nascosti, “annegati” dentro altri corpi, e se vengono liberati, isolati, spesso sono troppo piccoli per generare suoni udibili. Tuttavia stalattiti e stalagmiti, composte di cristalli, sono presenti in molte grotte e talvolta, se le si percuotono in modo adeguato, sono in grado di emettere suoni udibili quasi armonici.
Nel mondo vegetale esistono alberi, arbusti e fiori in cui prevale la lunghezza, ma i loro modi di risonanza sono inadeguati per la musica: o escono dal campo udibile o l’energia ad essi associata è troppo bassa, oppure, nonostante la prevalenza unidimensionale, la costituzione materiale disomogenea crea troppi modi di risonanza sovrapposti generando così rumore. Può capitare nondimeno di udire suoni originati dal vento che fa oscillare le fronde di alberi o l’aria di certe cavità naturali.
Suoni per comunicare
Nel mondo animale le cose stanno in un modo un po’ diverso e, potremmo quasi dire, intermedio tra natura inanimata e uomo. Gli animali emettono, a scopo comunicativo, vibrazioni complesse, difficilmente classificabili come “suono armonico” o “rumore”: ad un’analisi più attenta si possono descrivere all’incirca come suoni modulati (ossia variati secondo un qualche andamento in ampiezza e in frequenza). Se l’intensità varia di poco e lentamente, si può ancora riconoscere la fondamentale e quindi l’altezza, ma, se le variazioni sono forti e rapide, un’altezza individuabile non c’è più. Un discorso simile vale quando si varia la frequenza fondamentale in modo ciclico o secondo qualche altra legge (modulazione di frequenza): se le variazioni sono lente e poco “profonde” si ha un effetto di “vibrato”, come sanno bene i violinisti e i chitarristi; in caso contrario il risultato sonoro è qualcosa di complesso e di nuovo difficilmente descrivibile. Utilizzando variazioni (modulazioni) di ampiezza e di frequenza, è possibile sintetizzare elettronicamente “suoni” che si avvicinano molto a quelli emessi dalla maggior parte degli animali. Le virgolette sottintendono la loro natura complessa che ce li fa distinguere dai rumori propriamente detti, come il tuono, la cascata d’acqua, o una pietra che colpisce un’altra pietra. Che cosa li caratterizza maggiormente? Forse la composizione mista del loro spettro, contenente, oltre a una parte continua come quella del rumore, anche delle righe. Nel caso del suono animale, le frequenze corrispondenti alle righe non sono in generale tutte multiple di un’unica frequenza, ma alcune sono parziali non armoniche, probabilmente originate dalla modulazione (in frequenza e/o in ampiezza) di una o più portanti contemporaneamente. Dico “probabilmente” perché non ho studiato la fisiologia dell’apparato fonatorio degli animali. Comunque chiamerò i suoni emessi dagli animali a scopo comunicativo “suoni modulati”.
La nostra percezione uditiva distingue, in mezzo alla complessità, la presenza nel suono di righe spettrali e vi attribuisce caratteri di peculiarità, ad esempio l’appartenenza a un certo animale. Sempre mettendoci dal punto di vista della sopravvivenza ambientale per la quale l’orecchio (che a differenza dell’occhio non si può chiudere con la volontà) ha un’importanza decisiva, possiamo notare che i suoni emessi dagli animali sono anche un segno della loro presenza nei dintorni.
Anche l’essere umano, quando comunica tramite la parola, genera vibrazioni acustiche il cui spettro è misto, continuo e con righe, simile a quello degli altri animali. Si potrebbe sostenere che lo spettro misto caratterizza la comunicazione acustica tra gli animali e può essere un segnale che una comunicazione tra animali è in corso.
Musica
La musica usa anche rumori, da sempre e intutte le culture, in varie modalità. Poiché la natura produce diversi rumori,spontaneamente o stimolata dagli animali, l’uso del rumore in musica si collegaforse al rapporto animistico con la natura, avendo origine nel movimento ritmico del corpo (camminare e correre, danzare, battito cardiaco). A me sembra che il ritmo nasca direttamente dal corpo, mentre il suono armonico è sostanzialmente creato dalla psiche umana, prima tramite il canto e poi “forzando” la natura a emettere suoni armonici attraverso strumenti appositamente costruiti. Ma bisogna tenere presente che psiche e corpo non sono entità separate, benché distinte; chi come me non è credente, è convinto che la psiche abbia origine biologica e non extranaturale. Tuttavia anche il credente sa che l’interazione tra psiche e corpo è molto stretta.
Ritmo
Il ritmo trova facilmente rappresentazioni immediate nel corpo e nella natura, a differenza del suono armonico. La regolarità ciclica di fenomeni che vediamo e sentiamo ha il suo corrispettivo acustico più semplice nel fatto che riconosciamo facilmente una successione di rumori o di suoni che hanno durate sempre uguali.
I rumori usati in musica (ad eccezione della musica colta dal ‘900 in poi) sono per lo più costruiti come “accenti”, “colpi”, fenomeni acustici rapidi (battiti), tesi ad evidenziare, enfatizzare il ritmo musicale, in cui le durate sono ricondotte a multipli interi (e asottomultipli) di durate “elementari”, quelle tra un battito e l’altro; anche le durate dei suoni fanno parte del ritmo e vengono misurate come multipli (esottomultipli) di durate “elementari” secondo le potenze di 2. Il mondo occidentale “civilizzato” ha sempre usato come base della musica ritmi molto semplici, del tipo un-due-un-due, o un-due-tre-un-due-tre: ciò continua in parte nel jazz e in modo assai pressante nella musica pop e rock, che lo vive come “energetico”. I due o i tre tempi vengono distinti accentuando il primo dei due o dei tre, che diventa così il “tempo forte”, mentre gli altri si chiamano “tempi deboli”. Dalle culture slave invece provengono anche ritmi in 5 e in 7, mentre dalle culture africane provengono ritmi sovrapposti spesso molto complessi.
In realtà il ritmo comprende vari livelli di organizzazione, dal semplice battito e suoi multipli interi (si noti l’analogia con gli armonici), alla metrica dei componimenti poetici fino all’andamento generale di una forma espressiva, come un film, un pezzo teatrale e un’opera architettonica o visiva.
Frequenze privilegiate
Mentre i rumori e i suoni modulati possono dare vita a un ritmo, la musica (sempre ad eccezione della musica colta dal ‘900 in poi) si caratterizza soprattutto per l’uso dei suoni armonici, il cui parametro maggiormente distintivo è l’altezza (o “acutezza”),che fisicamente corrisponde alla frequenza fondamentale. Per poter giocare piùfacilmente con le altezze, i musicisti ne hanno estratte alcune dal continuum frequenziale sonoro, rendendole privilegiate. Già gli antichi Greci avevano codificato altezze simili a quelle moderne, ma nel tardo medio evo si sono stabilizzate prima sei e poi sette altezze privilegiate o “note”, che i popoli latini chiamano con i famosi nomi dati da Guido d’Arezzo, Do, Re, Mi,Fa, Sol, La, Si, e che gli anglosassoni nominano con le prime lettere dell’alfabeto, da A a G (A = La, B = Si, C = Do, etc.). Sette note che, con l‘aggiunta delle cosiddette “note alterate” con diesis e bemolli, all’incirca dal ‘700 in poi sono diventate 12. In realtà privilegiate non sono propriamente le altezze, ma lo è la “scala musicale”, ossia una successione di frequenze fondamentali crescenti che stanno tra loro a due a due in certi rapporti numerici, quelli che si rivelano favorevoli alla percezione. Il più semplice è il rapporto = 2, che è anche quello più consonante di tutti, tanto che se le due note suonano simultaneamente quasi non si distinguono: in questo caso si dice che le due note distano di “un’ottava”. In musica infatti, la distanza non è una differenza di frequenza ma un rapporto, dato che la successione delle note è logaritmica. Altri rapporti consonanti sono 3/2 e 5/4: al numeratore ci sono le armoniche e al denominatore le potenze di 2, che servono a riportare le armoniche “in banda base”, ossia all'interno dell’”ottava” a cui appartiene la prima nota. La musica utilizza circa 7ottave, dove il Do della prima ottava, detto Do1 (C1), nel sistema temperato equabile con La4 = 440 Hz, ha la frequenza fondamentale di 440*2−33/12 = 32,7 Hz circa (perché il Do1 si trova 33 semitoni sotto al La4); quindi Do1 = 32,7*20, Do2 = 65,4 = 32,7*21 Hz, …, Do8 =32,7*27 = 4185 Hz. Il Do8 è la nota più acuta utilizzata ed è l'ultimo tasto del pianoforte . Mi scuso se quest’ultimo discorso appare poco chiaro, ma non so spiegarlo senza usare molte più parole: in sintesi stavo cercando di spiegare come le note della scala derivino dagli armonici. Esse furono individuate (pare) da Pitagora, che, non conoscendo il fenomeno degli armonici, notò le relazioni di consonanza tramite i rapporti di lunghezza di una corda tesa.
Pare che tutte le culture sia occidentali che orientali abbiano sentito l’esigenza di estrarre alcuni suoni armonici (da non confondere con con “armonici”) dal continuum frequenziale, disponendoli in successione di frequenza crescente (scala musicale) o decrescente, dando loro dei nomi e designandoli come una sorta di “base” in senso matematico o di alfabeto. Ciò dà la possibilità di individuarli, di renderli riconoscibili in un contesto tramite il rapporto di ciascuno con gli altri, e quindi di combinarli insieme per costruire musica. Nei suoni armonici non conta solo l’altezza, ma anche e soprattutto il rapporto numerico tra le frequenze scelte, a partire da una frequenza di riferimento concordata (in occidente il La4, ufficialmente fissato a 440 Hz). L’ascolto di due suoni armonici simultanei genera nel nostro sistema percettivo due caratteri: consonanza o dissonanza. Il passaggio dall'uno all'altro non è netto.
Consonanza e dissonanza
Come dicevo in “Musica e matematica: il problema del temperamento”: ”La consonanza è uno dei fondamenti della musica, soprattutto occidentale, e riguarda la percezione di suoni di altezza diversa, simultanei o anche poco differiti nel tempo. Se i 2 suoni sono simultanei l’ascolto è più critico: può risultare piacevole o spiacevole, con tutte le gradazioni intermedie. La piacevolezza o meno dipende per la maggior parte dal rapporto numerico delle loro frequenze fondamentali. Se tale rapporto è espresso da due numeri interi, più essi sono piccoli maggiore è la sensazione di consonanza che si produce”.
“Dal punto di vista fisico e fisiologico, la spiegazione della consonanza risale a Galileo (in “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”). Consideriamo due onde periodiche di uguale ampiezza ma di periodo diverso, T1 e T2: se T1/T2 è un numero razionale, la loro somma è ancora un’onda periodica che ha come periodo il minimo comune multiplo tra T1 e T2. Se il rapporto delle frequenze fondamentali di partenza è espresso da frazioni contenenti sia al numeratore che al denominatore numeri interi piccoli e poco diversi tra loro, la loro somma delle due onde è un’onda piuttosto regolare, che impegna il nostro sistema percettivo molto meno di un’onda irregolare. La piacevolezza della consonanza deriva da questa bassa fatica uditiva, anzi, decodificativa”. (Il nostro sistema percettivo è tale che il discorso vale anche se i numeri piccoli non sono esattamente interi ma vi si avvicinano molto: è il problema del temperamento, che ho trattato nello stesso articolo già citato). Se le frequenze F1=1/T1 e e F2=1/T2 sono abbastanza vicine, si generano i cosiddetti "battimenti", ossia fluttuazioni dell'intensità, che hanno frequenza |F1-F2|. Se tale differenza è inferiore a 1 Hz, i battimenti risultano piacevoli, ma se essa sale il risultato è sempre meno gradevole. Il massimo della sgradevolezza viene raggiunto tra 5 e 15 Hz; poi, dopo i 30 Hz, le due frequenze vengono percepite come distinte. Lo stesso discorso si estende facilmente se i suoni sono più di due.
forme d'onda di un accordo consonante fatto di 3 suoni (linea spessa = somma dei 3 suoni, linee sottili singoli suoni)
forme d'onda di un accordo disssonante fatto di 3 suoni (linea spessa = somma dei 3 suoni, linee sottili singoli suoni)
Con le tecnologie attuali non è difficile dare vita a suoni mai sentiti. La possibilità di ricondurli a suoni conosciuti è (finora) molto meno ampia rispetto a quanto avviene per i colori: la natura fa quasi tutti i colori visibili ma di suoni ne fa pochi, nonostante ne abbia un’alta capacità potenziale. Quindi esiste un grande numero di suoni possibili e mai ascoltati. Similmente a quanto la chimica ha scoperto e concettualizzato nella “Tavola periodica degli elementi”, lo schema per il quale è stato possibile “creare” elementi chimici inesistenti in natura, l’essere umano ha intuito la possibilità di costruire grandi quantità di suoni distinti, intesi come fenomeni acustici dotati di regolarità oscillatoria, ed è riuscito, con processi in parte spontanei (canto vocale) e in parte ricercati e studiati (strumenti musicali), a utilizzarli per realizzare uno dei tratti distintivi dell’umano: la musica.
Come nasce la musica? Un'ipotesi
L’attività di creazione dei suoni armonici potrebbe avere la sua origine in questa possibilità fisica, in questo “spazio acustico” lasciato libero, per così dire, dalla natura. Con “spazio acustico” intendo quil'insieme di fenomeni acustici descritti solo qualitativamente tramite il loro spettro di frequenza (nel campo udibile), che, come detto più sopra è suddivisibile grossolanamente in 3 parti: 1) distribuzione continua di frequenze (finora detta “rumore”, “bianco” o “colorato” a seconda della forma di tale distribuzione), 2) distribuzione a “righe” (frequenze isolate), 3) distribuzione mista (continua con sovrapposizione di righe, dove l’ampiezza delle righe sopravanza decisamente l'ampiezza media della parte continua).
Lo spazio 1) è utilizzato soprattutto dalla natura inanimata, mentre lo spazio 3) è utilizzato dagli animali, compreso l’uomo, che per comunicare tra loro emettono combinazioni di suoni e rumori, organizzati in linguaggi. Mentre gli animali hanno esigenze di comunicazione limitate alla sopravvivenza, l’uomo è in grado di scambiare una varietà di messaggi infinitamente maggiore, legati ad altrettanti significati che vanno ben oltre la sopravvivenza. Sul piano acustico il linguaggio parlato possiede un’alta variabilità, difficilmente codificabile: anche se noi distinguiamo vocali e consonanti, i suoni/rumori ad esse corrispondenti sono molto più variabili nel tempo, quindi più “incerti” o almeno più instabili, rispetto ai suoni armonici, che sono dotati di una definitezza e un’”identità” molto maggiore. Le consonanti sono veri rumori, e magari presentano qualche riga nello spettro come accade nelle nasali, mentre le vocali sono fatte di suoni che possono variare tra “suoni armonici” e “suoni modulati”.
La modulazione in frequenza e in ampiezza applicata alle vocali viene usata dal linguaggio umano per dare una certa intonazione alla frase e renderla più densa di significato, più espressiva specie sul piano emotivo; la loro altezza, essendo continuamente variabile, non è individuabile se non come caratteristica di insieme, per la quale, ad esempio, ascoltando due persone che parlano possiamo dire cheTizio ha una voce più acuta di Caio.
Le diverse vocali, che corrispondono a timbri (quindi a spettri) diversi, sono ottenute attivando nel cavo orale risonanze a frequenze dette “formanti”, che durante l’emissione vengono fatte variare con continuità tramite movimenti muscolari. Benchè se ne considerino 6, a frequenza crescente, le formanti più importanti si riducono a 2. Anche se ogni persona ha un cavo orale leggermente diverso, riesce a emettere vocali distinte, riconoscibili come tali da tutte le altre persone, almeno quelle appartenenti alla stessa area culturale. Le caratteristiche spettrali della voce di una persona hanno carattere di unicità e possono essere impiegate come "firma" o come autenticazione.
Da quasi un paio di secoli, ai suoni prodotti dal canto e dai vari strumenti musicali, si sono sempre più estensivamente aggiunti suoni , creati non intenzionalmente dalle macchine che usano motori, dispositivi basati sulla ripetitività dei movimenti che generano suoni armonici aggiunti ad altri rumori, in definitiva suoni/rumori a spettro misto. I suoni armonici, quindi, non sempre sono destinati alla musica, e per questo sarebbe limitativo chiamarli "suoni musicali".
E' ora di affrontare lo spazio 2), perchè a un certo punto sorge la domanda: da dove viene all’essere umano l’esigenza di fare/ascoltare musica? Sono state date varie risposte a questa difficile domanda, alcune di tipo religioso o pseudo tale e quindi inutilizzabili da un punto di vista scientifico. Il noto e importante musicologo Enrico Fubini scrive:
“Si era ipotizzato che la musica rappresentasse il prelinguistico presente in ogni linguaggio ma forse il discorso qui ci porterebbe troppo lontano e andrebbe approfondito in altre direzioni. Indubbiamente però si può affermare che la musica porta alla luce, mette in evidenza, sottolinea e fa emergere ciò che nel linguaggio è soffocato o rimane allo stato latente. Ma può operare in tal senso proprio perché vi è questa parentela originaria tra il suono della musica e il suono della parola. Nell'oggettività della parola e nel suo impersonale potere denotativo la musica vi porta quell'elemento personale, affettivo, emotivo che la parola, votata al significato, ha in parte, ma non totalmente perduto. Qualsiasi discorso verbale porta ancora con sé un elemento musicale che contribuisce a precisare e a definire anche in senso stretto il suo significato. Così come il linguaggio verbale normalmente tende a prescindere dall'elemento musicale sino a poterne fare a meno, così la musica può giungere sino a diventare autonomo linguaggio prescindendo dall'elemento discorsivo. Come il linguaggio verbale conserva tuttavia qualcosa della musicalità connessa all'intonazione della parola e tale musicalità s'incorpora in qualche modo al potere denotativo della parola, così il linguaggio dei suoni quando si rende autonomo conserva ancora il ricordo di un rimando per lo meno al mondo degli affetti e delle emozioni, anche se 'polisemico' come è stato detto, anche se incerto e a volte ambiguo ma pur percepibile. Una sorta di linguaggio che viene prima del linguaggio, linguaggio che viene prima del potere denotativo della parola ma che pur è ricco di richiami e di risonanze, forse in grazia - come si è detto - anche di un certo isomorfismo del linguaggio dei suoni con quello dei sentimenti e degli affetti.” (E. Fubini, Musica e affetti, Relazione proposta nella Giornata distudio sul tema "Musica e affettività", organizzata dal Seminario Permanente di Filosofia della Musica con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano - 13 marzo 2002).
Immagini acustiche
Il richiamo al linguaggio verbale, del tutto condivisibile, merita un tentativo di approfondimento. Potrebbe essere interessante invocare il concetto di immagine acustica, introdotto dal linguista F. De Saussure: “Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei nostri sensi.” (F. De Saussure, "Corso di Linguistica generale", 1985 p. 83-86.)
Quindi l'immagine acustica è qualcosa di interno a noi, di psichico: ce ne rendiamo conto quando cerchiamo di richiamare alla memoria un motivetto e riusciamo a farlo senza cantarlo o fischiettarlo. Che cos’è la “traccia psichica”? Secondo De Saussure è il risultato di un’attività di memoria di un certo suono, o di certi suoni, che assumono la funzione di significante e vengono associati a un significato; l’insieme di "significante" e "significato" costituisce il "segno". La sua attenzione però si limita al fatto linguistico, non si spingendosi nel campo della musica. La traccia psichica sarebbe qualcosa di legato all’apprendimento della lingua parlata, che comincia dopo il primo anno di vita.
Ma è solo da allora che ha inizio la formazione delle immagini acustiche? Possiamo pensare che, poiché l’attività psichica ha inizio alla nascita (secondo le ultime ricerche scientifiche nella vita intrauterina c’è solo attività neurale di tipo stimolo-risposta), i suoni uditi lascino fin da allora una traccia nella memoria del neonato, dato che l’apparato acustico funziona perfettamente (mentre quello visivo rivela inizialmente solo luce e ombra e si sviluppa più lentamente). La possibilità di lasciare questa traccia, di formare un’”immagine interna”, deriva dall’attivazione di alcune aree cerebrali superiori provocata dall’energia luminosa che alla nascita colpisce la rètina, in particolare dei fotorecettori scoperti di recente, diversi dai coni e dai bastoncelli. Visto che non c’è ancora coscienza, la memoria acustica non è legata a oggetti fisici ma molto più probabilmente a situazioni di rapporto umano affettivo in cui il bambino viene fin dall’inizio a trovarsi.
Le immagini acustiche nel neonato sarebbero quindi riconducibili a tracce di suoni emessi da lui e dalle persone che
di lui si occupano, associati a un contenuto affettivo ed emotivo, e che contribuiscono in modo sostanziale alla crescita della sua psiche. Il bambino, creando immagini acustiche, svolge cioè un'attività creativa fondata sugli affetti, la presenza dei quali fa forse la vera differenza fra traccia fisica e psichica. Immagini di questo tipo sarebbero una base buona per dare vita successivamente ai significanti del linguaggio parlato, ma, ancor prima, alla successiva possibilità di recepire e costruire la musica.
Sul piano fenomenico si potrebbe ipotizzare che il suono venga ricreato dall’essere umano dapprima prolungando l’emissione della voce e associandovi un vissuto affettivo, o uno stato d’animo: anche il vagito è un suono modulato, non è rumore. Il suono della voce, quando viene prolungato intenzionalmente, può essere un suono modulato oppure un suono armonico, la cui durata può diventare affine a quella di un vissuto affettivo, vissuto che per sua natura può generarsi in modo quasi istantaneo, ma che dura poi per un certo tempo, almeno a livello del sentire cosciente.
Il suono prolungato così creato, se è prevalentemente armonico, costituisce il canto, che è forse un modo “corporeo” di rivivere uno stato d’animo. Non è un caso che le mamme di tutto il mondo "cantino" le ninne nanne: può darsi che il canto sia nato proprio con questa funzione. I suoni e i rumori brevi forniscono invece il supporto per il linguaggio verbale, dove la velocità di comunicazione è assai più importante per la vita sociale, e dove il timbro sonoro gioca il ruolo fondamentale per poter distinguere i singoli fonemi: l’altezza media delle vocali varia di poco e in modo non codificato (salvo in alcune lingue), mentre l’intensità relativa è stabilita dagli accenti tonici delle singole parole. Viceversa, i suoni prolungati e con durata sempre simile, in cui il timbro non varia o varia di poco, rendono possibile la percezione dell’armonia, intesa come relazione tra i suoni simultanei o in successione ravvicinata (utilizzndo la memoria a breve termine), basata sulla possibilità di cogliere la consonanza e i multipli interi di durata. La distribuzione variamente alternata di dissonanza e consonanza va a rappresentare, nella musica occidentale, la dialettica tra tensione (dissonanza) e riposo (consonanza) o tra movimento e stasi.
L’udito, essendo in stretta relazione con la capacità di emettere suoni (voce), riceve stimoli anche dall’interno del corpo attraverso le vibrazioni della voce emessa, mentre la vista riceve stimoli solo dall’esterno del corpo. Il contatto ravvicinato tra voce e orecchio potrebbe essere un fattore determinante nella creazione del suono interno, nel “gustarne” il prolungamento, la ripetizione, e i rapporti interi di durata (a loro volta facilitanti la ripetizione), in particolare il canto. L’udito è quindi più “vicino” al corpo rispetto alla vista, che è più “astratta”, e potrebbe essere considerato intermedio tra la vista e gli altri tre sensi. Solo la vista e l’udito sono però capaci di rappresentazioni “esterne” al corpo: noi vediamo gli oggetti e udiamo i suoni ponendoli fuori di noi. Invece, l’olfatto può indicare solo la direzione di provenienza dello stimolo e il tatto e il gusto sono confinati al contatto fisico diretto.
Rappresentazioni
Sembra che l’essere umano abbia nella propria natura l’esigenza di rappresentare all’esterno il proprio mondo interiore fatto di immagini interne e pensiero per immagini, formatosi nei primi mesi di vita e destinato a rimanere sempre inconscio. Per dare vita a questa rappresentazione è necessario prima regredire verso quelle immagini, ricreandole sempre diverse. Ricreare, non semplicemente riprodurre, per rappresentare ed esprimere. L’attività onirica, quindi, attinge a quel materiale inconscio per fare le immagini dei sogni e usa un suo linguaggio non facile da comprendere, talvolta utilizzato come fonte di espressioni artistiche “esterne”. L’artista, più che i propri sogni, utilizza le proprie immagini inconsce non oniriche per dare luogo a espressioni realizzate tramite supporti fisici, oggetti inanimati, mediati dalla vista e, nel caso della musica, del teatro e del cinema, anche dall’udito.
In quanto, come ho detto, praticamente assente in natura (lo si trova in pochi uccelli, o in qualche situazione di turbolenza o risonanza provocata dal vento che attraversa particolari conformazioni ambientali), il suono armonico si presenta come il candidato ideale a rappresentare qualcosa che è (solo) interno all’uomo e che, a partire dalla culla, si riconosce come fondamentale per il rapporto tra esseri umani. La natura “armonica” del suono armonico, ossia il suo essere strettamente legato ai numeri interi (l'antica armonia delle sfere), gli ha reso possibile anche di diventare simbolo, rappresentato per esempio dalle note musicali occidentali e dalle loro aggregazioni. Sono stati codificati suoni ben distinguibili l’uno dall’altro, similmente ai fonemi, che hanno frequenze fondamentali privilegiate, in modo da poterli combinare e dare loro un senso. Diversamente dai fonemi, l’espressione di quel mondo interiore più vicino alle emozioni non ha avuto bisogno di assegnare significati “esterni” ai simboli sonori e questa libertà ha rivelato le enormi possibilità espressive delle combinazioni sonore, capaci, come diceva Mendelssohn, di sfumature infinite, assai superiori a quelle del linguaggio verbale.
Destino del suono armonico
Come dicevo all’inizio, ormai da più di un secolo, il suono armonico non è più il componente principale della musica occidentale e lo stesso vale per la consonanza. La musica colta ha dapprima superato il concetto di tonalità, quello per cui gli accordi dissonanti si legano a quelli consonanti in modo gerarchico a rappresentare il paradigma tensione- risoluzione: la dissonanza crea movimento, disarmonia e deve "sfociare" nella consonanza, che invece è quiete, riposo. Facendo rivivere la musica modale [1], rivalutando l’elemento ritmico e introducendo la musica dodecafonica e poi seriale, ha progressivamente esteso l’impiego di suoni non armonici, modulati, registrati dalla vita quotidiana e prodotti in innumerevoli modi, incluso naturalmente quello elettronico. Con il ridursi dell'uso del suono armonico, anche le tradizionali 12 note della scala da esso derivate hanno perso la loro supremazia, affiancate o sostituite da suoni di tutte le frequenze udibili, o anche di un qualsiasi sottoinsieme di esse. Anche il timbro, che era fino ad allora “codificato” negli strumenti tradizionali, ha subìto grandi estensioni. Con John Cage è stato per esempio introdotto nel 1940 il “pianoforte preparato” [2], ossia il pianoforte dotato di vari piccoli oggetti inseriti nelle corde per cambiarne il timbro. Per non parlare di Edgar Varèse, che nella sua musica usò sirene e campane da pompieri, e di tanti altri che hanno usato suoni fino ad allora impensabili come costituenti della musica, specialmente elettronici. Nel secondo dopoguerra il nastro magnetico diventò rapidamente il supporto fondamentale della musica elettronica, dato che tramite un taglia-incolla permetteva, al pari della pellicola cinematografica, il montaggio del brano sonoro, composto di varie parti preregistrate, consentendo di eliminare in un colpo solo l'interprete e l'esecutore. Il suono armonico comunque è rimasto, ma molto di più nel jazz, nel pop e nel rock, generi in cui si trovano anche influenze della musica colta più sperimentale, e che però a loro volta la influenzano. In essa la dissonanza è diventata nel tempo sempre più tollerata e anche gradita; anzi, nella seconda metà del secolo scorso ha spodestato la consonanza, la quale in certi indirizzi compositivi era stata addirittura proibita. Questo fatto è sintetizzato molto bene dal grande compositore ungherese György Ligeti (1923 - 2006), l'autore principale, tra l'altro, della musica del film di Kubrick "2001 Odissea nello spazio" e uno dei miei compositori preferiti del '900, che una volta ha affermato: “La storia della musica non è altro che un percorso di adattamento dell’uomo alle dissonanze.”
Cosa se ne può dedurre? Non penso che togliendo importanza al suono armonico l’uomo stia da più di un secolo omologando il proprio mondo interiore con quello esteriore. Penso invece che abbia sentito l’esigenza di aumentare le proprie capacità espressive musicali ampliando la quantità di suoni da usare nella composizione. Se si ascoltano i grandi compositori del secondo ‘900, per i quali il suono armonico è diventato un componente più marginale, una volta superata la difficoltà della decodifica di un “linguaggio” (la musica si può considerare un linguaggio solo in senso metaforico) arduo, all’inizio difficilmente comprensibile, ci si rende conto che il contenuto poetico non è scomparso dalla musica, essendo in qualche misura indipendente dal tipo di suoni impiegati.
[1] “modale” è la musica basata su scale diverse da quelle “maggiori” e “minori” del periodo classico-romantico, in uso trai Greci e nel medio evo, poi “riscoperte” già nel ‘700 e usate estensivamente a partire dal ‘900, sia nel jazz (Miles Davis) sia nella musica colta, più tardi anche nel pop e rock.
[2] Il primo a introdurre oggetti nel pianoforte era stato Erik Satie nel 1921.