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Risonanza acustica e suono

Indice

Premessa

Il termine “risonanza” riveste molti significati e riguarda vari aspetti del sapere. Qui di seguito farò qualche considerazione qualitativa (quindi senza formule) sulla risonanza come fenomeno fisico, limitatamente agli aspetti acustici. Con il termine “acustico” spesso si indicano anche tutti i fenomeni ondulatori meccanici, con frequenze anche molto al di là del campo di udibilità, e le applicazioni della risonanza sono molteplici: dallo studio dei materiali, ai sonar, alle marmitte dei motori a due tempi, alle casse acustiche “bass reflex”. Ciò che scrivo qui è orientato principalmente all’acustica musicale.

Sulla risonanza

E’ interessante notare che in natura la maggior parte dei fenomeni acustici sono classificabili come rumori. La discriminante tra rumori e suoni è, in prima grossolana approssimazione, individuabile dallo spettro di frequenza: è continuo per i rumori, è a righe equispaziate per i suoni. Naturalmente nella realtà la maggior parte degli spettri acustici saranno misti, ossia composti da zone continue a cui si sovrappongono righe non soltanto equispaziate e la distinzione suono – rumore non è netta.
In natura i suoni veri sono rari, prodotti solo da pochi animali, per lo più uccelli, o incidentalmente da fenomeni atmosferici, per esempio il vento che fa “risuonare” certe cavità. Il suono è energia meccanica di forma particolare, e la sua produzione richiede circostanze altrettanto particolari.

Questo perché l’evento acustico percepito come “suono” ha origine dalla “risonanza acustica” che “è il fenomeno di amplificazione delle onde sonore che caratterizza i risuonatori: tale amplificazione è indotta da un impulso esterno trasmesso al risuonatore attraverso vincoli meccanici oppure attraverso l'aria, ed è tanto maggiore quanto la frequenza dello stimolo è vicina alla frequenza di risonanza naturale del risuonatore” [fonte: Wikipedia].
Il termine “amplificazione” si presta a qualche equivoco, perchè viene subito da pensare all’amplificazione attiva, ottenuta immettendo energia dall’esterno: ma nel nostro caso non significa che nel risuonatore si genera più energia di quanta ne viene immessa. Cercherò di fare un po’ di luce anche questo aspetto. Un risuonatore può essere un corpo elastico, ossia un corpo capace di variare (temporaneamente) la propria forma quando riceve una certa sollecitazione energetica, per poi riassumere la forma iniziale quando la sollecitazione cessa. Se la sollecitazione è un solo breve impulso di energia, il corpo elastico può continuare a oscillare per un tempo più lungo a una certa frequenza, detta “frequenza propria (o naturale) di oscillazione”; la frequenza e la durata dell’oscillazione dipendono dalle caratteristiche fisico-geometriche del corpo. Il concetto si estende facilmente da un corpo ad un sistema fisico, detto “sistema oscillante”, in cui le oscillazioni proprie possono riguardare sia la variazione di forma di corpi elastici sia la posizione di corpi non elastici, solidi (come il pendolo), liquidi o gassosi (come l’aria). Per estensione si chiama “risuonatore” anche un corpo cavo come il “risuonatore di Helmoltz”, che di per sé non vibra significativamente ma permette di vibrare all’aria in esso contenuta.
Esempi di sistema oscillante non elastico sono: il pendolo, la bilancia a due piatti, l’altalena. Sul versante dei circuiti elettrici corrispondono a circuiti “a costanti concentrate”.
Esempi di sistema oscillante elastico sono: una molla che si comprime e si allunga, una corda tesa che viene pizzicata o percossa, l’aria contenuta in un volume determinato. Sul versante dei circuiti elettrici corrispondono a circuiti “a costanti distribuite”.

Nei risuonatori di Helmoltz la frequenza propria di oscillazione dipende dal volume del contenitore, dalla lunghezza dello sbocco della cavità, dall'area dell'apertura della cavità e dalla velocità del suono nell’aria (che a sua volta dipende dalla temperatura). Bottiglie vuote di vetro, o anche riempite fino a un certo punto, sono sostanzialmente dei Risuonatori di Helmoltz.

Risonanza in un sistema fisico

La definizione rigorosa di “sistema”, in questo caso “sistema fisico”, è molto complessa: ci accontentiamo di dire che un sistema fisico è un insieme di oggetti fisici (componenti del sistema) e di forze interdipendenti ad essi associate, in cui è possibile e opportuno individuare dei confini di spazio e di tempo, quelli appunto del sistema. Le frequenze di risonanza di un sistema fisico sono legate alla costituzione dei propri componenti, cioè la geometria, la natura dei materiali e altro; queste frequenze “privilegiate” possono essere una, poche o tante e di solito le ampiezze delle relative oscillazioni sono tra loro diverse, rappresentate dalle famose righe spettrali. Per cercare di chiarire meglio, riporto quanto viene detto in proposito sul sito: www.fisicaondemusica.unimore.it pubblicato dall’università di Modena - Reggio Emilia: “Si dice “risonanza” il fenomeno per cui un sistema oscillante è in grado di assorbire energia da una sorgente esterna in modo particolarmente efficiente solo ad una (o più) frequenze ben precise. Esaminiamone le caratteristiche grazie ad un esempio:
Sappiamo per esperienza che una piccola spinta ad un'altalena la fa oscillare ad una frequenza ben precisa, detta frequenza propria che dipende dalla lunghezza dell'altalena, ma non dai dettagli della forza somministrata durante la spinta. Se anziché applicare la spinta una sola volta la ripetiamo periodicamente nel tempo possiamo studiare come l'altalena risponde al variare della frequenza della nostra spinta.
Troveremo che, se la forza applicata dall'esterno ha una frequenza prossima alla frequenza propria dell'altalena, quest'ultima tende ad oscillare in modo sempre più ampio.
Invece, per frequenze della forza esterna molto maggiori o molto minori della frequenza propria, la nostra spinta ostacola l'oscillazione.
Concludiamo che la frequenza naturale di oscillazione (o frequenza propria) è perciò anche la frequenza per cui una forza esterna trasferisce energia al sistema oscillante nel modo più efficiente. Ogni sistema fisico caratterizzato da frequenze proprie di oscillazione può risuonare con una sorgente esterna.” Inoltre:
“se si percuote un diapason, che produce onde alla frequenza fissa di 440 Hz, e lo si pone vicino a un secondo diapason 'silenzioso', dopo un breve intervallo anche quest'ultimo comincia a vibrare.
Il diapason è costituito da una forcella di acciaio con un manico, anch'esso di acciaio, saldato alla base. Il manico consente di tenere lo strumento senza ostacolare l'oscillazione della forcella, e di trasmettere le vibrazioni ad un altro corpo per “potenziare” l'intensità del suono emesso: ad esempio, può essere messo a contatto con la cassa di risonanza in legno di un altro strumento, quale un violino o una chitarra.” (fonte: Wikipedia)
“In un fenomeno di risonanza, un sistema interagisce con una forza periodica esterna, che corrisponde a una certa quantità di energia trasmessa e ad un corpo che si muove con moto armonico.
Un esempio è quello del ragazzo seduto nell'altalena, dove abbiamo: l'eccitatore (ragazzo che spinge) e il sistema altalena+ragazzo (risonatore). Se la spinta è di una certa entità, nel punto in cui si inverte la direzione del moto dell'altalena, questa raggiungerà un'altezza maggiore ad ogni spinta. Il valore che deve avere la spinta dipende dalle proprietà del risonatore. L'eccitatore e il risonatore si dicono in sincronismo. La risonanza può arrivare a distruggere il sistema per l'eccessivo accumulo energetico.”
fonte: www.fisicaondemusica.unimore.it
La risonanza meccanica portò alla distruzione del famoso Ponte di Tacoma (Washington, USA) nel 1940.
“Le cause del crollo sono da ricercarsi nelle oscillazioni torsionali indotte dal distacco periodico di vortici di von Kármán (fenomeno di instabilità aeroelastica detto anche “flutter” o “stall-flutter”). Infatti, sotto l'azione di un vento costante di circa 30 nodi la scia dei vortici di von Kármán trasmetteva alla struttura delle coppie torcenti pulsanti alla stessa frequenza torsionale del ponte, innescando un fenomeno di risonanza con ampiezze via via crescenti e non compensate da un adeguato smorzamento.” [fonte: Wikipedia] Un fenomeno di risonanza provoca in genere un aumento significativo dell'ampiezza delle oscillazioni, che corrisponde ad un notevole accumulo di energia all'interno del sistema sollecitato. L’amplificazione detta prima corrisponde all’efficienza del trasferimento di energia che assume una forma particolare, quella dell’oscillazione a frequenza propria. L’energia fornita periodicamente dall’eccitatore verrebbe accumulata nel sistema ad ogni “eccitazione” se non venisse dissipata al suo interno o trasmessa all’esterno del sistema. Proprio questo fa sì che l’accumulo non possa essere indefinito, ma non necessariamente impedisce che sia dannoso.

Onde stazionarie

Alla risonanza è collegato il fenomeno delle cosiddette “onde stazionarie”, ossia onde vincolate a propagarsi avanti e indietro in un certo ambiente fisico, che può essere uno spazio delimitato – una cavità, un tubo quasi del tutto chiuso, una corda tesa - dal quale non possono uscire, se non in parte, e nel quale sono costrette a riflettersi in un continuo andirivieni. Si tratta però di un andirivieni speciale, che porta a una situazione per la quale una parte (preponderante o no, dipende dal tipo di ambiente) delle onde non si propaga; per esse le variazioni energetiche riguardano solo il tempo e non lo spazio.
Se in un sistema in quiete si originano onde, l’energia da esse trasportata deve venire inizialmente fornita in qualche modo. Nel caso acustico di una cavità potremmo fornirla producendo un rumore secco: l’energia esterna di breve durata, concentrata nel tempo, si trasforma in energia dell’aria interna oscillante, distribuita nel tempo. Al solito, se la cavità fosse completamente chiusa e se non ci fossero perdite (per assorbimento e/o per trasmissione) l’energia continuerebbe ad oscillare molto a lungo sotto forma di variazioni di pressione: a certe condizioni di ampiezza e di frequenza potrebbe essere udibile come suono. Le oscillazioni non continuerebbero all’infinito a causa dell’attrito molecolare dell’aria: l’energia sonora resterebbe confinata all’interno del “sistema cavità” e, a meno di non trovarci dentro la cavità, non potremmo accorgerci della sua esistenza.
L’energia oscillante, creatasi in seguito a una sollecitazione esterna o interna (come un’esplosione ad esempio) si dissipa sempre, più o meno velocemente. Si può notare però che il sistema “ha memoria” benchè la memoria sia temporanea: l’energia fornita non va dispersa ma viene “ricordata” per un certo tempo sotto forma di “onde stazionarie” in attenuazione. Quando la persistenza del fenomeno ondulatorio è maggiore, significa che le perdite per attrito sono minori e il sistema è “poco smorzato”: la risonanza è più accentuata, ossia l’ampiezza delle oscillazioni è maggiore e la loro frequenza più stabile.
L’onda che si crea sarà sinusoidale se la risonanza è singola; se invece si manifesta a più frequenze, si creeranno tante sinusoidi quante sono quelle frequenze e l’onda stazionaria complessiva risultante dalla loro somma istantanea avrà un profilo conseguente, più o meno frastagliato.

Modi

Le sinusoidi che danno luogo all’onda complessiva si chiamano anche “modi di vibrazione”, o semplicemente “modi”; i modi la cui frequenza è multiplo intero di un solo modo fondamentale si chiamano “modi armonici”. Un dato ambiente fisico (sistema) può avere poche o molte frequenze di risonanza in funzione della sua geometria e di altre caratteristiche fisiche, quindi possono originarsi pochi modi, o molti modi. Solo se tra i tutti i modi è presente un gruppo di modi armonici, l’onda stazionaria può dare luogo a un “suono musicale”, così chiamato per distinguerlo da una vibrazione acustica generica.
E’ chiaro che tra le infinite frequenze presenti nello spettro di un rumore, ci sono anche infiniti gruppi di componenti le cui frequenze sono multiple intere di una fondamentale. Quando diciamo “la presenza di un gruppo di modi armonici” sottintendiamo che le componenti di questo gruppo abbiano un’ampiezza decisamente maggiore di tutte le altre componenti. Immaginiamo ora di fissare una fune un po’ pesante lunga un paio di metri o più a un’estremità (per esempio legandola a un anello solidale con un muro a un metro circa di altezza) e di tenerla tesa all’altra estremità con una mano: dando un solo colpetto verso l’alto, possiamo vedere che la deformazione da noi impressa, un impulso, si propaga lungo la fune fino al muro e poi torna indietro. Se abbiamo dato un colpetto vigoroso e se la nostra mano rimane ben ferma, la propagazione continuerà ancora un poco avanti e indietro, per poi estinguersi.
L’impulso si muove con una velocità che dipende dalla caratteristiche fisiche della fune, quali la sua densità e altri parametri. Se continuassimo a muovere la mano su e giù, vedremmo una serie di impulsi che si susseguono e tornano indietro: quando quelli che vanno in una direzione incontrano quelli della direzione opposta, le deformazioni possono sommarsi oppure annullarsi a vicenda. Aumentando e diminuendo la velocità del movimento oscillatorio della mano, o meglio la sua frequenza, potremmo vedere varie di queste situazioni e deformazioni: da una certa frequenza in su, vedremmo delle onde che si propagano in una direzione e altre nella direzione opposta, e le potremmo vedere perché una fune pesante dà luogo a una velocità di propagazione sufficientemente bassa. Se adesso muovessimo la mano di continuo, aumentando a poco a poco la velocità, o meglio la sua frequenza di oscillazione, potremmo arrivare a una situazione in cui le onde che si propagano in una direzione si sovrappongono perfettamente a quelle della direzione opposta, col risultato che il movimento orizzontale si annullerebbe e vedremmo l’onda “ferma”, con la corda che oscilla su e giù, ma che non trasla: avremmo raggiunto la situazione di onda stazionaria.
Sostituendo alla fune una corda metallica molto tesa, il fenomeno sarebbe lo stesso, ma la velocità di propagazione dovuta alla tensione del metallo sarebbe così alta da rendere invisibili le due onde nel loro movimento avanti e indietro nelle due direzioni opposte. Anche qui esistono però certe frequenze di movimento su e giù della corda per le quali le due onde si combinano in modo tale che il risultato è un’onda sola ma “ferma” o “stazionaria”: le deformazioni indotte nella corda raggiungono la massima ampiezza in certi punti della corda dette “ventri”, mentre la corda rimane immobile nei punti detti “nodi”. Ciascun punto della corda raggiunge una propria elongazione massima che si ripete ad ogni periodo ma non varia mai lungo l’asse della corda: essa passa appunto dal valore “0” nei nodi e raggiunge il valore più alto possibile nei ventri. Le onde che si creano in questo esempio sono dette trasversali, dato che il loro movimento è perpendicolare alla direzione della propagazione. Le onde che si creano perturbando verticalmente un sistema costituito da una molla fissata da un lato al soffitto e con attaccata una massa all’altra estremità, sono invece onde “longitudinali”, perché il loro movimento si svolge nella stessa direzione della loro propagazione.

Onde trasversali

Una corda ben tesa, se pizzicata si mette a oscillare alle sue frequenze proprie, producendo deformazioni elastiche oscillatorie in forma di onde stazionarie. Si formano varie onde a frequenze proprie del sistema “corda tesa”, che non sono altro che le frequenze di risonanza, in questo caso multiple intere (cioè armoniche) di quella più bassa di tutte, la fondamentale. Le onde però non sono longitudinali ma “trasversali”: la deformazione è perpendicolare alla corda.
Perché una corda tesa, se pizzicata, vibra con onde stazionarie? Perché non si creano le due onde in direzioni opposte che abbiamo esaminato nell’esempio della fune? La risposta a questa domanda non è facile ma si riconduce a un principio basilare di tutta la Fisica: il “principio di conservazione dell’energia”. I sistemi del tipo “corda tesa” obbediscono a questo principio proprio emettendo onde stazionarie, se perturbati. Si può dimostrare che questo tipo di onda è quella che conserva in modo ottimale l’energia fornita al sistema (fornita con un pizzico, in questo caso!)
Nell’esempio precedente, eravamo noi a sollecitare la corda facendola oscillare in modo che abbiamo implicitamente supposto sinusoidale e quindi con una sola frequenza da variare, per studiare gli effetti. Nel caso della corda pizzicata, invece, noi lasciamo vibrare il sistema “corda tesa” spontaneamente: constateremmo, con qualche metodo di osservazione, che esso vibra con una forma d’onda generalmente complessa ma periodica, scomponibile quindi in più onde sinusoidali. La forma di questa onda è dovuta alla “ricetta” dei modi e cioè alla combinazione delle ampiezze di ciascuna sinusoide modale. La corda pizzicata (o percossa) continua a vibrare finché non ha trasformato in calore tutta l’energia che aveva ricevuto in seguito al pizzico o alla percossa. In un corda lunga L fissa agli estremi si generano modi armonici con frequenze crescenti secondo multipli interi della fondamentale F_1=\frac {V}{2L}, dove V è la velocità del suono nella corda, che dipende dal materiale, dalla tensione e dal diametro. Nell’acciaio è circa 15 volte quella nell’aria. Nella figura si vedono i ventri e i nodi per ciascuno dei modi a) b) c) d). La figura mostra schematicamente i modi di risonanza di una corda tesa agli estremi.

Trasferimento dell’energia acustica

Una parte dell’energia vibrante della corda si propaga per onde nello spazio circostante e può raggiungere l’orecchio di una persona a distanza non tanto grande. Se i modi di risonanza della corda rientrano nel campo delle frequenze udibili, la persona potrebbe udire un suono. Poiché la corda è per definizione di piccolo diametro e quindi ha una piccola superficie, non può mettere in movimento grandi quantità di aria: l’energia propagata sarà minima e il suono avrà un’intensità debole, magari troppo debole per essere udito.

Casse risonanti

Ad esempio, gli strumenti musicali a corda cercano di aumentare la parte di energia destinata a propagarsi. Lo fanno dotandosi di tavole o casse dette “risonanti”, a cui la corda trasmette parte delle sue vibrazioni tramite il cosiddetto “ponticello”, che appoggia da una parte sulla corda e dall’altra sulla cassa risonante. In teoria le tavole e le casse non dovrebbero avere spiccate frequenze di risonanza, perché influenzerebbero le vibrazioni, esaltandone solo alcune tra tutte. In pratica questo effetto viene sapientemente sfruttato per caratterizzare il timbro del suono: alla risonanze della tavola e della cassa contribuiscono il tipo di legno impiegato e i suoi trattamenti (stagionatura, vernici, colle, etc.), nonché la forma e la presenza di rinforzi strutturali. Sono solo l’esperienza, l’intuizione, il gusto e l’abilità del costruttore che contribuiscono alla bontà del risultato sonoro. Anche l’aria presente all’interno della cassa del violino o della chitarra entrerà in risonanza a certe frequenze, dando così il suo contributo a formare la “ricetta” del suono, perché alcuni modi armonici propri della corda vengono trasmessi con maggiore o minore energia, e questo contributo è determinante per la qualità.
Oltre alla risonanza c’è un altro effetto da considerare, ed è l’efficienza energetica. Come abbiamo detto vengono utilizzate per gli strumenti a corda tavole o casse di risonanza la cui superficie è molto maggiore di quella di una corda; tramite il ponticello la corda farà vibrare una maggiore superficie di aria di quanto non potrebbe fare la corda stessa. Si produrranno allora onde di pressione più diffuse rispetto a quelle create dalla sottile corda. La cassa o tavola risonante però “consumerà” una parte dell’energia e quindi il suono giungerà sì a destinazione ma si smorzerà un po’ prima. In definitiva, invece di rimanere confinata nella corda e (in piccola parte) nei suoi supporti disperdendosi quasi tutta in calore, l’energia vibrante della corda si trasmetterà in molta maggior parte all’aria circostante, provocando la propagazione di onde in tutte le direzioni: una piccola parte dell’energia di queste onde raggiungerà il timpano dell’orecchio dell’ascoltatore e darà luogo alla percezione del suono.

Adattamento di impedenza

Quanto detto rientra in quella problematica che tecnicamente si chiama “adattamento di impedenza”. L’impedenza è una grandezza riferita al trasferimento di energia o meglio di potenza (che è energia nel tempo unitario) tra un generatore e un oggetto esterno utilizzatore: essa dà conto del comportamento dell’utilizzatore in seguito all’imposizione del generatore. Infatti l’utilizzatore può comportarsi “assorbendo” una parte dell’energia imposta, cioè utilizzandola o può anche “respingerla”, sotto certe condizioni. In generale l’impedenza è definita come rapporto A/B di due grandezze A e B significative per il trasferimento di energia. Le due grandezze vengono scelte a seconda del contesto: ad esempio per l’elettricità l’impedenza “elettrica” di un circuito è il rapporto tra la tensione applicata e la corrente che si sviluppa. L’impedenza elettrica comprende due parti; una è la componente “resistiva”, che dà conto dell’assorbimento/dissipazione dell’energia, ossia del trasferimento di energia dal generatore all’utilizzatore; l’altra è la componente “reattiva”, che dà conto dell’energia che non viene trasferita ma viene “riflessa”, ossia “respinta al mittente” dopo un certo tempo. Questa riflessione dell’energia avviene solo se l’energia del generatore è periodica (come nel caso del suono). Se la tensione elettrica varia nel tempo in modo sinusoidale con frequenza F, anche la corrente avrà la stessa forma e frequenza ma potrebbe essere sfasata in ritardo o in anticipo se l’impedenza ha una componente “reattiva”. L’energia riflessa è energia immagazzinata dal sistema come energia potenziale che si trasforma continuamente in cinetica e viceversa. Teniamo presente che qualsiasi generatore non è un generatore puro, non trasferisce semplicemente l’energia al suo esterno ma, nel farlo, ne dissipa anche una parte al suo interno: si dice allora che il generatore ha una sua “impedenza interna”. Si può dimostrare che il trasferimento massimo dell’energia, ossia la maggiore efficienza, si ha quando l’impedenza del generatore e quella dell’utilizzatore sono uguali. Dato che spesso nella realtà questo non avviene, si cerca di interporre tra generatore e utilizzatore un dispositivo detto “adattatore di impedenza”, che fa “vedere” sia al generatore sia all’utilizzatore un’impedenza simile alla propria.

Impedenza acustica

Nel caso acustico, l’impedenza “acustica” è definita come rapporto tra la “pressione sonora” e la velocità che, in conseguenza alla pressione sonora, assumono in una certa superficie le “particelle di fluido”: queste sono piccolissime porzioni di fluido, non meglio definite, in ogni caso molto meno piccole di singole molecole. La pressione sonora è in realtà il valore efficace della variazione della pressione ambientale. La velocità assunta dalle particelle non va confusa con la velocità di propagazione delle onde sonore nel fluido. Un’analogia che può chiarire questo concetto è quella di una serie di palline di acciaio, ognuna appesa per un filo a una barra orizzontale e poste tutte una accanto all’altra, su una retta ideale: colpendo la prima pallina, l’energia si propaga da una pallina all’altra con una certa velocità di propagazione. Questa velocità è diversa da quella locale delle singole palline.
Pensiamo ad esempio a uno stantuffo che si muove alternativamente e con regolarità entro un tubo aperto all’altra estremità: le particelle di aria a contatto con la superficie dello stantuffo vengono da essa compresse/decompresse e ne assumono la stessa velocità, che aumenta e diminuisce in modo ciclico. A causa dell’elasticità dell’aria, quelle particelle trasmettono la loro energia alle particelle circostanti, le quali la trasmettono ad altre particelle e così via. Le particelle si muovono solo avanti e indietro in un piccolo spazio ma non si propagano. Ciò che si propaga è l’energia, con onde la cui frequenza è uguale a quella del movimento alternativo dello stantuffo; queste onde si propagano lungo il tubo e poi nell’aria al suo esterno, a una velocità che, da una certa distanza dal tubo, dipende solo dalla densità e dalla temperatura dell’aria e, almeno nel campo udibile, è indipendente dalla frequenza. In altre parole, nell’aria libera, sia i suoni gravi che quelli acuti si propagano tutti alla stessa velocità.
La velocità “locale” delle particelle è invece determinata dallo stantuffo e dalle caratteristiche del tubo. La pressione dello stantuffo (che è una forza divisa per l’area dello stantuffo) induce un movimento e le particelle, come qualsiasi corpo, assumono un’accelerazione e quindi una velocità, che sarà inversamente proporzionale alla loro “massa”, ossia maggiore è la massa e minore sarà l’accelerazione (che è variazione di velocità) come se le particelle opponessero una resistenza a muoversi. Ma le particelle non sono corpi rigidi: interagiscono tra loro localmente proprio per il fenomeno dell’elasticità e quindi si preferisce esprimere questo concetto tramite l’”impedenza”, definita come abbiamo detto sopra. L’impedenza dà conto sia dell’opposizione delle particelle a muoversi (dissipazione in calore) sia del ritardo, o meglio dello sfasamento, con cui le variazioni di posizione seguono le variazioni di pressione. Come nel caso elettrico è definita come  \dot Z = r +jx ossia parte resistiva e parte reattiva. Nell’aria libera e in uno spazio aperto lo sfasamento può essere quasi nullo, ma in un tubo, ad esempio, o nei pressi di un altoparlante, questo non è più vero. Si definisce “impedenza caratteristica” tipica del mezzo Z_0 = \frac {P}{V s} dove P è la pressione sonora, V è la velocità locale, S la superficie attraversata dall’onda (che si suppone piana). È anche Z_0 = R \cdot c dove R è la densità del mezzo in \frac {\text{kg}}{\text{m}^3} e c è la velocità di propagazione nel mezzo. L’impedenza acustica si misura in “rayl” [N sm3] detti da qualcuno anche “Ohm acustici”. Poiché sia la densità che la velocità di propagazione sono funzione delle temperatura, lo è anche l’impedenza acustica. Nell’aria Z0 varia tra 444,6 e 406,5 rayl quando la temperatura varia tra -20 e + 30 °C. Sorprendentemente sono valori non molto dissimili dall’impedenza elettrica dello spazio (tipicamente 377 \, \Omega).
Un esempio di adattatore di “impedenza” meccanica, da intendere in senso qualitativo, si ha nel cambio dell’automobile: se definiamo l’impedenza come rapporto tra forza e velocità, sappiamo che, a parità di potenza che il motore fornisce, più la marcia è bassa più aumenta la forza e più diminuisce la velocità; il cambio funge quindi da “adattatore di impedenza” fra motore e caratteristiche della strada. Stessa cosa si ha nella bicicletta, dove il rapporto di diametro tra la ruota dentata del pedale e quella della ruota posteriore consente di ridurre o aumentare la forza delle gambe a spese della velocità ottenuta.
Alla risonanza, analogamente al caso elettrico, l’impedenza acustica di un sistema (che naturalmente è funzione della frequenza) può avere un massimo o un minimo del modulo, mentre lo sfasamento è nullo. Come si può facilmente immaginare, l’impedenza acustica riveste una notevole importanza nella costruzione degli strumenti musicale, che si basano proprio sulla risonanza.

Riassumendo

il verificarsi di una risonanza richiede 3 condizioni:

  1. Un oggetto dotato di una frequenza di risonanza propria (o “naturale”). Questa è la frequenza alla quale un oggetto si mette a oscillare quando viene sollecitato dall’esterno. Può essere un sistema meccanico (come uno strumento musicale) o elettronico.
  2. Una sorgente esterna di energia che forza l’oggetto a oscillare alla frequenza naturale. Nell’altalena, ad esempio, la sorgente è il ragazzo che dà dei colpetti ogni volta che l’altalena gli viene vicino. In molte macchine basate su organi in rotazione (ruote, assi, etc.), si possono creare varie risonanze “spurie”, potenzialmente pericolose, o almeno fastidiose, di parti meccaniche supposte fisse e inerti; questo perché la rotazione si può considerare una forma di oscillazione che ha la frequenza data dal numero di giri al secondo, e che agisce come sorgente di energia verso quelle parti.
  3. Una (ideale) mancanza o, in pratica, una quantità molto ridotta di “consumo” di energia da parte del sistema. Se l’energia fornita viene fortemente dissipata, la risonanza non ha luogo. Se l’energia fornita viene dissipata solo in piccola parte, la risonanza si manifesta con oscillazioni che, quando l’energia fornita viene tolta, si smorzano gradualmente. Questo avviene alle corde percosse nel pianoforte: la produzione di suono è una forma di dissipazione energetica. Nell’orologio a pendolo, l’energia fornita dalla gravità o da una molla caricata va a compensare l’energia dissipata dagli attriti di tutto il meccanismo.

fonte: http://www.intuitor.com/resonance/abcRes.html

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Commenti e note

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di ,

Bravo per questo articolo ben scritto e chiaro. In qualità di tecnico acustico professionista, porto elementi aggiuntivi sul mio sito: https://www.pytaudio.com/it Penso che completerà meravigliosamente le osservazioni di questo articolo

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di ,

Concordavo... tolta

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di ,

Il sistema massa molla ha una frequenza di risonanza fissa, la sua equazione differenziale ha una soluzione propria con autovalori fissi. Una palla che rimbalza non ha una frequenza fissa "di risonanza", i suoi autovalori (ammesso che si possano definire) hanno spettro continuo. La frequenza di rimbalzo dipende dalla radice quadrata dell'ampiezza massima. A me questa non sembra una risonanza.

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di ,

La palla che rimbalza non è una risonanza? Ma allora non lo è nemmeno nessun semplice sistema massa-molla, e nemmeno il pendolo ... Non so, mi piacerebbe sentire anche altri pareri. Grazie però del tuo apprezzamento: inutile dire che fa sempre piacere!

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di ,

Bello, grazie! Toglierei solo l'esempio della palla elastica che rimbalza sul pavimento, che non mi sembra essere una risonanza.

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