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Panoramica sulla fisica degli strumenti musicali – 2a parte

Indice

Efficienza nell’emissione del suono

Molti degli strumenti a corda hanno un eccitatore “impulsivo”, a pizzico o a percussione: in questo modo la chitarra, il mandolino, il clavicembalo, il clavicordo, l’arpa, ricevono meno energia e quindi emettono un volume di suono minore rispetto agli strumenti a eccitatore ripetitivo, come gli archi e i fiati; è chiaro quindi che per essi un adattatore energetico efficiente è fondamentale.

Non è certo un caso che la chitarra abbia avuto una diffusione così grande da quando le si sono applicati dei microfoni alle corde; anzi, la presenza dell’amplificazione l’ha trasformata in uno strumento ben diverso dalla chitarra tradizionale ormai detta “acustica”, conferendole altre possibilità sonore, insieme al basso elettrico.

Gli strumenti ad arco sono dotati di eccitatori continui, costituiti da un gruppo di crini di cavallo mantenuti in tensione da un supporto che anticamente era un arco convesso di legno, evolutosi poi in una lunga bacchetta leggermente concava, sempre in legno, detta “archetto”.
I crini sfregano sulle corde producendo il suono in modo continuo. Lo sfregamento è composto da una serie rapidissima di “pizzichi” successivi effettuati dai crini sulla corda, che viene deformata in senso triangolare in un gioco alternativo tra attrito crine-corda e forza elastica di richiamo della corda stessa.

Pur dotati di un eccitatore ripetitivo, il volume sonoro emesso dagli archi è notevole ma non elevatissimo; soprattutto per questo motivo l’orchestra classica prevede un loro numero per sezione (violini, viole, violoncelli, contrabbassi) più alto rispetto agli altri strumenti.

Gli strumenti a corda generano suoni meno intensi rispetto agli altri strumenti. Fa eccezione il pianoforte moderno, che ha un telaio in ghisa tramite il quale le corde di acciaio (detto “armonico” per il suo comportamento piuttosto lineare) possono essere molto più tese e quindi immagazzinare molta più energia potenziale rispetto ai precedenti telai in legno: in uno strumento da concerto (“gran coda”) la tensione complessiva è dell’ordine delle 22 tonnellate.

Grazie anche all’efficienza dell’eccitatore e della tavola armonica, il pianoforte è l’unico strumento a corda con eccitazione impulsiva che produce volumi di suono ragguardevoli: le corde (i risonatori) vengono percosse da martelletti azionati da sistemi di leve collegati ai tasti, dando luogo a un suono che si smorza non troppo velocemente. Anche se il tasto rimane abbassato, il martelletto torna immediatamente indietro appena ha colpito le corde tramite un meccanismo detto “scappamento”; l’eccitatore è quindi costituito dal gruppo martelletto-scappamento collegato al tasto abilitatore. Quando si abbassa il tasto viene sollevato anche lo smorzatore, un blocchetto di legno ricoperto in parte di feltro, che al rilascio del tasto si appoggia sulla corda assorbendone rapidamente l’energia vibrante, ossia facendo cessare il suono.

Ad esclusione del sax, i “legni” (clarinetto, oboe, fagotto, flauto, …) suonano più piano degli ottoni, perché irradiano l’energia acustica dai fori; hanno spesso un suono più dolce, “liquido”, come il clarinetto nelle note più basse, o “nasale” come l’oboe e il fagotto.
L’irradiazione non è molto efficiente, come attesta la fatica che fanno i suonatori di questi strumenti per ottenere suoni relativamente poco forti; visto come antenna emittente, un foro corrisponde a una “slot antenna”. Mentre il flauto dritto antico ha un suono piuttosto debole, quello traverso moderno può invece raggiungere pressioni elevate e un volume sonoro abbastanza alto nelle regioni più acute, grazie ai fori più grandi e anche all’imboccatura più efficiente.

Il sax è un altro strumento che raggiunge alti livelli sonori, sia per il volume interno molto maggiore degli altri “legni” sia per i fori ancora più grandi. Flauto traverso (moderno) e sax fanno parte dei legni, anche se sono in lega di metallo, perché derivano da strumenti in legno, di cui conservano i fori lungo il tubo risonante.

Produzione del suono e delle note musicali

La produzione dei suoni alle varie altezze prefissate (le note musicali) deriva dall’interazione tra corpo vibrante e eccitatore-abilitatore, mentre l’adattatore energetico riguarda solo volume e timbro del suono. Nella pratica del suonare, le note musicali si susseguono con una velocità che può raggiungere alcune decine di suoni diversi e successivi al secondo. Le note musicali vengono generate sfruttando le frequenze di risonanza del generatore di vibrazioni, che devono essere però disponibili in tempi piuttosto rapidi, non superiori a una o poche decine di millisecondi. L’elemento che si presta a essere variato più velocemente per cambiare la frequenza di risonanza è la lunghezza. Si varia invece la tensione nei membranofoni e in alcuni aerofoni (soprattutto gli ottoni con la rigidità delle labbra) in cui è possibile eccitare armonici diversi senza alterare la lunghezza del tubo.
Negli strumenti a note fisse (pianoforte, organo, arpa, etc.), in luogo di un solo corpo vibrante se ne hanno una serie, in modo che ogni nota venga generata da (almeno) uno di essi.
Il pianoforte ha tre corde unisone per le note medie e alte; per le medio basse ne ha due, per le basse solo una. In questi ultimi due casi le corde sono rivestite con del rame avvolto per aumentarne la massa e abbassarne quindi la frequenza di risonanza fondamentale. Il martelletto rivestito di feltro è incernierato in un solo punto: la forza del dito, tramite un complicato sistema di leve, gli imprime un movimento rotatorio che lo lancia contro le corde (o la corda). A causa dello “scappamento”, il contatto tra sistema di leve e martelletto termina qualche istante prima che il martelletto colpisca la corda in virtù del principio di conservazione del momento della quantità di moto. Come diceva il fisico acustico Arthur H. Benade il martelletto non ha quindi modo di distinguere il dito di un grande pianista da un fucile ad aria compressa: il famoso “tocco” del pianista è una pura illusione!
L’organo a canne (o “da chiesa”) ha i risonatori raggruppati in “registri reali”, serie di canne dello stesso tipo che coprono una certa estensione; ogni registro ha un suo timbro e una sua intensità e l’organista può inserire quanti registri ha disponibili, cosicché ogni nota viene emessa da più canne. In questo modo ottiene una certa scelta di suoni ma con variazioni sempre “a gradini”. Spesso l’organo ha più di una tastiera, a ognuna delle quali è possibile collegare uno o più registri: questo consente di avere già pronte tante combinazioni di suoni quante sono le tastiere. Oltre ai registri reali esistono anche registri accessori, ad esempio quelli che fanno suonare nella stessa fila di canne anche la canna posta a distanza di un’ottava. I registri vengono attivati tramite appositi tiranti o, negli organi moderni elettrificati, pulsanti e sono distribuiti spesso tra due o più tastiere.
Gli strumenti che dispongono di più generatori di vibrazione si chiamano “polifonici” poiché possono emettere più note contemporaneamente, gli altri solo una nota per volta (due in certi casi). Gli archi producono contemporaneamente due note con facilità, forzando anche tre.
Perché gli strumenti musicali hanno dimensioni così diverse? Dato che si comporta (anche) come un’antenna trasmittente, per essere efficiente uno strumento deve avere dimensioni fisiche paragonabili alla massima lunghezza L dell’onda: questa è una proprietà comune a tutti i sistemi “a costanti distribuite”, come le linee di trasmissione elettrica. Ricordando che L = c / f e che nell’aria c = 340 m/s (nell’acciaio è circa 17 volte maggiore) le lunghezze d’onda variano tra circa 17 metri per le frequenze più basse e 1,7 cm per quelle più alte.
In realtà le frequenze fondamentali più alte utilizzabili per la musica non superano i 4.000 Hz (molti strumenti si fermano assai prima) a cui corrisponde una lunghezza d’onda di circa 8,5 cm, mentre le frequenze superiori costituiscono solo gli armonici. Quelle inferiori a 80 Hz (lunghezza d’onda = 4,25 metri), servono solo per “sostenere” il suono musicale. Gli strumenti musicali devono essere dotati di “antenne” a banda piuttosto ampia, dato che hanno un’estensione che va da 3 ottave in su, fino a un massimo di 7 ottave nel pianoforte. C’è da dire però che per le frequenze medio-alte è richiesta una minore efficienza in quanto l’orecchio ha una maggior sensibilità.
Si tratta comunque di lunghezze d’onda che inducono dimensioni fisiche per così dire “a misura d’uomo”, considerando che si possono avere antenne a mezza o a un quarto di lunghezza d’onda: lo possiamo constatare facilmente guardando le canne di un organo oppure gli strumenti che emettono suoni bassi, come il contrabbasso, il basso tuba e il timpano. Sotto quelle dimensioni un’antenna perde rapidamente efficienza. Per contro le nostre orecchie, antenne riceventi, hanno dimensioni ben lontane da quelle ma utilizzano metodi molto sofisticati per compensare questa inefficienza. L’orecchio ha una sensibilità minore man mano che la frequenza scende e la potenza richiesta è maggiore; è però in grado di ricostruire un suono basso anche solo a partire dai suoi armonici, come dimostra l’ascolto di musica al telefono, il quale taglia in basso a 300 Hz, circa a metà della tastiera del pianoforte!

Produzione del suono negli aerofoni

Negli aerofoni le estremità aperte corrispondono ai nodi e quelle chiuse ai ventri dell’onda: ne segue che la lunghezza del “tubo” determina la più bassa frequenza producibile poiché la distanza tra due nodi (o tra due ventri) consecutivi di una sinusoide corrisponde a metà della “lunghezza d’onda”.

Un flauto è un tubo cilindrico aperto alle due estremità, punti in cui la pressione sonora risulta essere nulla: quindi ci saranno due nodi dell’onda e i ventri saranno tutti all’interno; se il ventre è uno solo, quell’onda ha la massima lunghezza possibile e quindi la minima frequenza fondamentale. Chi ha un po’ di pratica con le linee di trasmissione elettriche non avrà difficoltà a trovarvi le corrispondenti analogie con la riflessione di un segnale dovuto al disadattamento di impedenza. Alle estremità del tubo, entrambe aperte, la pressione sonora si annulla, ossia l’onda stazionaria che si genera all’interno ha due nodi. Quindi le frequenze di risonanza sono determinate dai punti in cui l’impedenza acustica (=rapporto pressione/velocità) è minima. La distanza tra due nodi è mezza lunghezza d’onda; se il tubo è lungo K, la massima lunghezza d’onda che può emettere è L = 2K e di conseguenza la minima frequenza è c/2K. Un flauto traverso classico è lungo 65 cm e la sua nota più bassa è il DO4 (circa 262 Hz).

Il clarinetto è un tubo cilindrico aperto solo a un’estremità e solo lì la pressione sonora è nulla, mentre raggiunge il massimo all’estremità chiusa; ciò corrisponde a un quarto di lunghezza d’onda, la quale, per un tubo lungo K, al massimo sarà L = 4K. Infatti la nota più bassa che un clarinetto può fare è circa un’ottava sotto a quella di un flauto di dimensioni simili. A causa di questa asimmetria nelle estremità gli strumenti a tubo cilindrico aperti solo da una parte sono in grado di emettere solo armonici dispari, cioè F= c/4K, 3c/4K, 5c/4K, … il che corrisponde a un suono dal timbro più “nasale”. Poiché a un’estremità la pressione è massima, le frequenze di risonanza sono determinate dai punti in cui l’impedenza acustica (=rapporto pressione/velocità) è massima; per questo aspetto clarinetto e flauto si comportano in modo opposto. Se invece che cilindrico il tubo è un tronco di cono, come per l’oboe e il sax, la situazione degli armonici torna a essere simile a quella del flauto (ma per motivi diversi, più complessi) in cui la nota più bassa è di nuovo F= c/2K corredata di tutti gli armonici e cioè 2c/2K, 3c/2K, 4c/2K, …. La presenza degli armonici pari rende il timbro del suono più “rotondo”.
I tubi dei cosiddetti “legni” (flauti, clarinetti, oboi, …) producono le differenti note con una variazione “equivalente” di lunghezza, ottenuta con l’apertura/chiusura di fori distribuiti lungo il tubo. Le dita agiscono direttamente o, in modo più efficace, tramite un sistema di “chiavi” costituite da leve e coperchi (“piattelli”); con i fori tutti chiusi il tubo ha la lunghezza massima e può emettere la nota più bassa possibile.

Negli “ottoni” (tromba, trombone, corno, ..) il tubo risonante è continuo (senza fori) e le note vengono prodotte dalla vibrazione delle labbra che eccitano gli armonici relativi a una certa lunghezza; se questa non fosse variabile, il numero di note producibili sarebbe assai limitato, costituito solo da quegli armonici, e in effetti in alcuni strumenti antichi, come la chiarina, è proprio così.
Gli ottoni hanno quindi meccanismi che variano la lunghezza del tubo costituiti da pistoni o dalla “coulisse”. I pistoni, attivati da altrettanti tasti, sono delle valvole che inseriscono/disinseriscono segmenti di tubo in modo discontinuo, mentre la coulisse è una guida scorrevole che permette di variare la lunghezza del tubo in modo continuo (trombone a coulisse). Per ogni lunghezza di tubo, un suonatore può eccitare non solo il modo fondamentale ma anche gli armonici. La produzione delle note è più complicata che nei legni perché sfruttando la parte non lineare del sistema labbra-tubo, che come nelle radio eterodina, dà luogo a somme e differenze di frequenza, non tutte facilmente ottenibili. In questi strumenti la svasatura a campana contribuisce anche a spostare verso l’alto tutte le risonanze, oltre che a fungere da adattatore energetico.

La fisarmonica e simili (harmonium, bandoneon, organetto …) hanno come risonatori lamelle metalliche ancorate a un’estremità, dette “ance libere”, che vengono eccitate dalla turbolenza dell’aria pompata da un mantice e abilitata dai tasti, che sono valvole apri-chiudi. La frequenza fondamentale di vibrazione dipende dalla tensione del metallo dell’ancia e dalla sua massa. Nonostante le dimensioni di molto inferiori alla minima lunghezza d’onda da generare, le anche libere riescono a produrre intensità sonore sufficientemente elevate.
L’ocarina è uno strumento a parte, costruito generalmente in terracotta a forma ovoidale, che ha l’imboccatura simile a quella del flauto, dei fori sulla superficie e il funzionamento del risonatore di Helmholtz (vedi oltre). Infatti la frequenza dipende dal volume (che naturalmente rimane praticamente fisso e funge da molla) e dal piccolo volume cilindrico di aria dell’insieme dei fori, che funge da massa. Questo tipo di risonatore ha quindi dimensioni non direttamente correlate alla minima lunghezza d’onda producibile.

Produzione del suono negli strumenti a percussione (membranofoni e idiofoni)

La maggior parte degli strumenti a percussione, come tamburi, piatti, bonghi, campanacci, maracas, congas, etc. vengono usati per evidenziare e sottolineare il ritmo. A questo scopo non producono suoni ma rumori diversamente “colorati”, il cui spettro cioè non ha righe ma alcune forme a campana, di varia ampiezza (“varianza”). Se l’ampiezza è piccola lo strumento risulta maggiormente intonato, come ad esempio i timpani; diversamente non è possibile individuare alcuna altezza, come nel gong. Lo spettro non a righe favorisce una maggiore efficienza nell’emissione e infatti questi strumenti possono suonare molto forte anche quando sono di piccole dimensioni. Sul piano strettamente musicale, è chiaro che il rumore risulta più adeguato del suono per evidenziare il ritmo, in quanto il ritmo è una componente abbastanza indipendente dalla melodia e dall’armonia, regno del suono.

Produzione del suono nei cordofoni

La corda tesa si comporta in modo simile al flauto: se è lunga K, la massima lunghezza d’onda che può emettere è L = 2K e di conseguenza la minima frequenza è F=v/2K, dove ”v” è la velocità di propagazione nella corda; ma essa varia con la radice quadrata del rapporto tensione/densità del mezzo: la frequenza F varia quindi con la lunghezza, la massa e la tensione. Per inciso è la tensione che viene modificata per “accordare” uno strumento a corda (o a membrana come i timpani), mentre negli strumenti ad aria l’accordatura si fa regolando leggermente la lunghezza del tubo.
Si chiama “accordatura” il procedimento che serve a portare il generatore di vibrazioni di uno strumento musicale ad oscillare alla frequenza “giusta”. La frequenza di riferimento è quella della nota LA4, ossia il LA della quarta ottava, la cui fondamentale è fissata per convenzione internazionale a 440 Hz. Tale frequenza è stata standardizzata nel 1939, tuttavia anche oggi accade che il LA4 venga “spostato” in alto di qualche Hz per ottenere un suono complessivamente più brillante; nei tempi passati il “riferimento” variava tranquillamente tra un posto e un altro, tra 400 e 450 Hz. Quando i risonatori sono più di uno (più corde), ciascun risonatore viene accordato rispetto al LA, sfruttando il fenomeno dei battimenti. Il battimento è una variazione di intensità del suono somma di due suoni contemporanei: se i due suoni hanno frequenza quasi uguale, l’intensità risultante varia a un ritmo pari alla loro differenza di frequenza.
Ad esempio, se un suono ha la frequenza di 440 Hz e un altro di 441, l’intensità complessiva varia al ritmo di una fluttuazione al secondo. Il battimento si sente bene anche se i due suoni hanno frequenza l’uno i quasi 3/2 dell’altro. Poiché la velocità di propagazione nell’aria varia con la temperatura, l’accordatura degli strumenti risente in varia misura delle condizioni ambientali, per cui vanno accordati molto spesso, come si sente fare agli orchestrali prima dell’inizio di un pezzo. Lo si fa rispetto a un generatore che garantisce una adeguata stabilità della frequenza nel tempo, come il diapason o, oggigiorno, un oscillatore al quarzo. Nei cordofoni con manico (archi, chitarra, mandolino, etc.) si hanno tipicamente da 4 a 6 corde, accordate a distanza di 3, 4 o 5 note, tese lungo il manico: le dita di una mano premono su di esse in un punto preciso, accorciando la corda in modo da aumentare la frequenza. Nei cordofoni a note fisse (pianoforte, arpa, clavicembalo, cetra) si hanno una o più corde per ogni nota.

Strumenti elettronici

La generazione elettronica del suono è iniziata in modo sistematico negli anni ’50 in vari Studi sperimentali, con l’impiego di apparecchiature normalmente dedicate ad altri usi, specialmente in Germania, in Francia e negli USA. Prima dell’avvento del computer sulla scena musicale, il compito di produrre suoni veniva assolto da generatori e altri strumenti singoli (modulatori, filtri, frequenzimetri, etc.), raggruppati poi negli anni ’60 in “sintetizzatori” o sbrigativamente “synth”. Di quelli commerciali il più noto era il Moog, dal nome del suo costruttore, il quale si cimentò anche nell’imitazione degli strumenti tradizionali nella produzione, ovviamente stilizzata, di opere classiche di autori come Bach e Beethoven: un esempio famoso è un brano della Sinfonia n. 9 di Beethoven che Kubrick inserì nel suo film Arancia meccanica. Come abilitatore il synth è dotato di una tastiera tipo pianoforte, più pulsanti vari. Da diverso tempo anche il sintetizzatore come oggetto a sé sta diventando “vintage”, dato che è sempre più presente come solo software.
Sul fronte “imitativo” ormai si riescono a sintetizzare tutti i suoni degli strumenti tradizionali con una somiglianza impressionante, tanto che in certe realizzazioni nemmeno un orecchio esperto riesce a capire se lo strumento è meccanico e suonato dal vivo/registrato o se è sintetizzato. Sul fronte “evolutivo”, si può constatare come dalla prima metà del ‘900 la cosiddetta musica elettronica (che ha il suo antecedente nell’”intonarumori” del futurista Russolo) ha introdotto nuovi suoni e rumori di ogni tipo, la cui generazione è oggi resa piuttosto facile dalla tecnologia digitale. Le tecniche di produzione sono molteplici (sintesi additiva e sottrattiva, modulazioni varie, campionamento, sintesi a modelli fisici, …). Ormai sono in uso, nel mondo pop e rock, tastiere tipo pianoforte in grado di produrre suoni sintetizzati o variati oltre a elaboratori di suono in grado di generare effetti vari da input tradizionali (alterazioni del suono, coro, trasposizione, etc.): è qui che il synth è ormai integrato. Per sostituire a costi contenuti il pianoforte tradizionale esistono anche tastiere “pesate”, che con un sistema di molle, offrono al dito una resistenza simile (in realtà per un pianista ben diversa) a quella della tastiera tradizionale e sono sensibili alla velocità, consentendo così la variazione dell’intensità del suono.

La digitalizzazione è una base unificante che coinvolge una grande quantità di attività rappresentabili in modo numerico e che assottiglia sempre di più i confini tra i vari campi: tutto ormai si riduce a manipolare dati, dall’informatica alla telefonia, all’economia, etc.: la musica non fa eccezione.

Dal punto di vista energetico il discorso è semplice. Una volta utilizzata l’energia elettrica per i circuiti elettronici, la parte acustica è affidata all’altoparlante e al proprio adattatore energetico, costituito dalla cassa. Secondo il nostro schema, il generatore di vibrazioni è elettronico, l’eccitatore in genere non esiste (salvo il caso dell’elaboratore di suoni) ed è presente solo l’abilitatore.

Dimensionalità

Se restiamo nell’ambito della meccanica (alla quale, infine, anche l’elettronica ci riporta attraverso la trasduzione energetica operata dal microfono e dall’altoparlante) può essere interessante riflettere su cosa hanno in comune i risonatori degli strumenti musicali, che ne costituiscono il “cuore”.
Ricordiamo che i suoni risultano percepiti con altezza “ben definita” solo se il loro spettro contiene in prevalenza la frequenza fondamentale e solo i suoi multipli interi (armonici): produrre suoni di altezza definita è uno degli obiettivi degli strumenti musicali “melodici”, che sono poi la maggior parte. Per raggiungere questo obiettivo i risonatori su cui si basano sono corpi o cavità quasi unidimensionali, generalmente corde o tubi, ossia oggetti in cui una dimensione spaziale (generalmente la lunghezza) prevale nettamente sulle altre due. L’unidimensionalità privilegia gli armonici relativi a quella dimensione, mentre gli armonici prodotti nelle altre due dimensioni sono molto più flebili e danno contributi minori o irrilevanti; l’unidimensionalità spaziale quindi produce un effetto filtrante per i modi di risonanza.

Un esempio di ciò è la corda lunga, omogenea e sufficientemente tesa: se il suo diametro non fosse molto piccolo rispetto alla lunghezza, la corda tenderebbe a diventare una barra o al limite una lastra: percuotendola, si genererebbero, oltre a gruppi di modi armonici “secondari”, non più multipli interi però della fondamentale relativa alla sola lunghezza, anche frequenze “spurie” o “inarmoniche”. Questo accade in modo pronunciato in strumenti come il glockenspiel, il cui suono, per quanto piacevole e caratterizzato, è meno definito in altezza. Ma succede, sebbene in misura minore, anche negli altri strumenti a corda: anzi, sul piano musicale questa inarmonicità diventa un carattere apprezzabile, senza il quale il suono risulterebbe troppo “povero”.
Un discorso simile vale per un tubo piuttosto lungo, in cui emergono modi armonici solo se la lunghezza prevale sul diametro, come nelle canne d’organo. In questo tipo di geometria l’oscillazione che si forma ha una lunghezza d’onda strettamente legata alla lunghezza del risonatore, come abbiamo visto sopra, indipendentemente dal suo diametro.
Questo non avviene nel risonatore classico di Helmholtz, costituito da un’ampolla sferica e da un piccolo condotto pseudo cilindrico. Lo studio fisico dimostra che la risonanza è originata dall’unione del collo cilindrico del risonatore, in cui l’aria si comporta come un sistema costituito da una “massa” (un corpo pesante) e dall’ampolla, in cui l’aria si comporta come una “molla”. Maggiore è il volume del recipiente, maggiore è la “cedevolezza” del volume d’aria (la cedevolezza massima è quella dell’aria aperta), minore è la frequenza di risonanza. In generale possiamo dire che oggetti dotati di simmetria spaziale danno luogo a un minore numero di modi di oscillazione, che possono essere suddivisi in gruppi, ognuno dei quali formato da modi armonici.
Un bell’esempio di suono ottenuto dalla simmetria circolare è la campana tibetana, una sorta di vaso circolare fatto di una lega di 7 metalli che, percorso con un batacchio di legno in senso circolare sul bordo, emette un suono prolungato e quasi puro. Anche il cristallo della glass armonica emette suoni quasi sinusoidali.

In fondo l’unidimensionalità e la simmetria non sono altro che aspetti realizzativi di una regolarità spaziale, una situazione in cui certe parti di una forma presentano legami tra di loro. Come esiste la regolarità spaziale, esiste anche quella temporale. Il caso più banale è forse quello in cui lo stesso suono si ripete a intervalli uguali. Un caso molto più complesso e non direttamente comprensibile, invece è quello della costituzione interna del suono in relazione alla nostra percezione. L’unica caratteristica “semplice” che distingue il suono dal rumore è una certa regolarità dello spettro dove le sinusoidi componenti (quelle che hanno cioè un’ampiezza sensibilmente diversa da zero) hanno frequenze tutte multiple intere di quella fondamentale ossia sono “equidistanti”. Questa relazione con i numeri interi è strettamente legata alla percezione di una “consonanza”, a sua volta base dell’armonia: non si sa qual è il motivo fisico che sta alla base di questa qualità della percezione, anche perché non si è ancora compreso fino in fondo il funzionamento dell’orecchio.
Personalmente ipotizzo che la percezione di consonanza/armonia/piacevolezza sia dovuta a una minore quantità di elaborazione che l’apparato uditivo deve svolgere. Per altro verso si usano anche strumenti musicali che generano rumori “colorati”: in questi strumenti, che generalmente vengono percossi, la prevalenza unidimensionale non c’è quasi mai. Tamburi, piatti, timpani, ad esempio, sfruttano vibrazioni bidimensionali che sono così ricche di armonici da diventare rumore e quindi più adatte al ritmo che alla melodia. Dunque esiste una corrispondenza tra la regolarità spaziale e quella temporale, riflessa anche nello spettro di frequenza in cui spiccano righe equispaziate: è a questa corrispondenza che si deve la produzione del suono. Ma al di là di questa considerazione un po’ sommaria è difficile individuare aspetti fisico-matematici che diano conto della qualità del suono; oltretutto una grande componente di essa, maggioritaria se l’eccitazione è impulsiva, è legata alla fase iniziale o “transiente”, in cui una regolarità è difficilmente individuabile. In realtà il transiente di attacco è in effetti è importantissimo, anche se l’eccitazione è continua. Infatti tutto il nostro apparato percettivo è più sensibile alle variazioni che alle permanenze e il suono ne dà prova evidente.

Estensione dei vari strumenti secondo le frequenze fondamentali (le note musicali)

Tra le varie caratteristiche che riguardano la fisica degli strumenti musicali troviamo l’”estensione”. Nella tradizionale impostazione imitativa della voce umana, che ha tipicamente un range di 2 ottave, molti strumenti hanno un’estensione un poco maggiore di essa, cioè dalle 3 alle 4 ottave. Estensioni superiori riguardano pochi strumenti e ne riducono fortemente la portabilità, rendendoli tendenzialmente “stanziali”, come il pianoforte e l’organo da chiesa.

Estensione degli strumenti

Estensione degli strumenti

La tabella mostra in ascissa la numerazione delle sole 7 note “naturali” (Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si). Mentre in realtà le note sono 12. Come si vede, la maggior parte degli strumenti ha un’estensione compresa tra 3 e 4 ottave, salvo il pianoforte (7 ottave, l’estensione massima), l’arpa (6 ottave e mezzo) e l’organo a canne (o “da chiesa”), non riportato in tabella, che ha 5 ottave come tastiera ma che, considerando tutti i registri, può superare le 8 ottave.

Conclusioni

Il rapido excursus qualitativo sulla fisica degli strumenti musicali vorrebbe mostrare anche come questi ammirevoli oggetti testimoniano della capacità umana di intuire alcune leggi fisiche molto prima di formularle, cosa che è avvenuta soprattutto nelle costruzioni edili.
Già nel periodo ellenistico all’acustica veniva data grande importanza; come esempio si può citare il celebre teatro di Epidauro risalente al IV secolo a.c. la cui architettura si è rivelata assai efficace per la trasmissione della voce degli attori al pubblico. Non si conoscono le tecniche di progettazione acustica dei Greci, anche se il romano Vitruvio vi fa cenno.
Bisogna arrivare al periodo galileiano perché l’acustica diventi scienza.
Quello che più sorprende è l’abilità mostruosa dei grandi artigiani liutai, degli organari e in generale dei costruttori di strumenti nell’essere riusciti a risolvere complicati problemi di fisica senza conoscere nemmeno una formula.

Appendice

Come promesso ad admin, allego la registrazione di una mia interpretazione di Chopin
Cho-nott-p-DO-diesis_m-1.mp3

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Commenti e note

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di ,

Veramente complimenti per il tuo contributo sugli strumenti. È bello suonare ma è ancora più bello capire cosa c'è dietro il suono emesso :) Una menzione a parte merita il tuo Notturno: fantastico, stupendo!

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di ,

Ho sentito solo ora il notturno. Bellissima interpretazione.

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di ,

Meraviglioso!!!

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di ,

Vivissimi complimenti. Nonostante la materia trattata non mi stia molto a cuore, ho letto con estremo piacere entrambi i tuoi articoli apprezzandoli per l'impegno e la passione che in essi hai trasfuso.

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di ,

Stupendo il notturno! Bravissimo!

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di ,

Bellissimo articolo, complimenti! Per amor di completezza piace ricordare che esiste anche uno strumento che, se suonato con una tecnica particolare, si comporta come uno strumento a percussione ed a corda: il basso elettrico suonato con tecnica slap. Tale tecnica comprende note "muted" e "slap" totalmente percussive e di suono molto simile ad una piccola grancassa, note "thumb" la cui prima parte (in termini temporali) è una percussione che diviene un suono dopo il primo istante, note "pop" ottenute come nel clavicord o nel clavicenbalo con suono pizzicato ma istante iniziale fortemente percussivo. E' una tecnica che amo tantissimo, quella che mi ha fatto nascere l' amore per il basso elettrico e quella che uso praticamente sempre. :)

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di ,

Grazie a te Admin per gli apprezzamenti, certamente molto graditi! Cercherò di provvedere a qualche mia interpretazione di Chopin, che dev'essere tra gli autori che prediligi. Per me è senz'altro così...

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di ,

È un articolo che, oltre ad essere molto interessante tecnicamente, riesce a trasmettere la passione di clavicordo ( e non poteva essere altrimenti con questo nick) per la musica e per tutti gli oggetti che l'uomo ha inventato per produrre il suono. Viene proprio la voglia, leggendo, di avere tra le mani un violino, o una tromba, un flauto o una fisarmonica, e persino una campana tibetana per provare a produrre le note e magari, in qualche modo, riuscire a visualizzare, una per una, le diverse vibrazioni dei risonatori. È un gran bel regalo per la nostra community! Grazie clavicordo. Ora aspettiamo anche una tua interpretazione di Chopin! ;-)

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di ,

Perbacco che compendio. Super Chapeau!

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di ,

Complimenti, mi è piaciuta moltissimo la parte sugli aerofoni!

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