Erano i primi anni '80 ed io ero un bimbetto di sei o sette anni, quando la buon'anima di mio nonno due o tre volte l'anno mi portava con lui in cantiere.
Certo, bisognava prima ricevere il benestare da parte di mia madre, ma visto che non era una regola, piuttosto la classica eccezione ad essa, passare una giornata in quel posto sfacciatamente insalubre, era rara una sua opposizione.
La giornata iniziava prestissimo, quando fuori era ancora buio, colazione prima delle sei, poi subito via, infreddolito ma contento, dentro la Simca mille azzurrina, direzione via Filippo Paruta zona Villa Tasca, era là che aveva sede l'impianto di betonaggio dove lavorava mio nonno.
Una vita la sua, trascorsa sui camion, piccoli e grandi, nomi e modelli di cui mi raccontava, ma che io vista la mia tenera età dell'epoca non ricordo più, eccetto un modello, il Fiat 682 che ricorreva spesso nelle sue storie.
Una vita, piena di sacrifici, il trasferimento con famiglia al seguito per quasi un decennio a cavallo degli anni '60-'70 dalla Sicilia alla Calabria per la costruzione dei viadotti di Scilla, Bagnara e della prima parte della Salerno-Reggio Calabria.
Una vita dura, ma di cui mio nonno non sembrava portarne addosso il peso, questa la mia sensazione a distanza di anni.
Un nonno che fu per me, il padre che allora non avevo.
Arrivati in cantiere posteggiamo sotto un pergolato, dopo i saluti con i suoi colleghi, col geometra e con la cagnolina che vive nel cantiere, corro subito verso mezza... testa
Tra la vera mezza... testa e quella della foto, cambia solo il colore del bicchiere, quella di mio nonno aveva strisce longitudinali giallo rosse, per il resto era una macchina identica, un'ASTRA BM 21, tre assi balestrata.
La macchina era una tra le più vecchie, anzi, forse la più vecchia del cantiere, era targata Ravenna e ad essere sincero non lesinavo di dire a mio nonno, che rispetto ai modelli più nuovi e alla moda guidati dai suoi colleghi, mezza... testa, così la chiamavo, non era certo un esempio di bellezza.
Avrei tanto voluto che una volta tanto mio nonno facesse un viaggio con un mezzo più all'avanguardia...
...ma la cosa non poteva essere possibile, visto che mio nonno, su mezza... testa ci aveva puntato tutto, a torto o a ragione aveva deciso di diventare padroncino, firmando una serie notevole di cambiali per l'acquisto di quell'autobetoniera. Non vorrei spararla grossa, ma gli costò qualcosa come sessanta milioni di vecchie lire o giù di lì.
Col senno di poi, si trattò più di un torto, poiché una bella mattina di marzo di qualche anno dopo, prima ancora che mio nonno avesse fininto di pagarla, mezza... testa lo lasciò a piedi con cinque assi invece di tre.
Ma il senno di poi è solo un fastidioso e beffardo modo di dire, esso niente dà e niente toglie, col senno di poi, avrei fatto tredici ogni settimana giocando la schedina del totocalcio.
Sì, infatti si ruppero due semiassi e il danno provocato non valeva il costo della riparazione.
Fu allora che capii, con un bell'esempio pratico, come nella vita nulla vada dato per scontato e come i sogni possono svanire in pochi istanti.
Ma la lezione più importante la assimilo ancora oggi dopo più di vent'anni. La forza di sapersi rialzare, di non drammatizzare la realtà, la capacità di saper cambiare strada. Avete presente il gioco pipeline, quando mettete male un pezzo e dovete cambiare il percorso che vi eravate ricreati giocando d'anticipo con l'immaginazione?
Solo che nella vita è un po' più dura.
Tuttavia mio nonno riuscì a restare nell'ambiente. Dopo qualche anno, vista anche la vicina età pensionabile, trovò lavoro presso un altro impianto di betonaggio, stavolta non sedeva più sul sedile di un camion, ma su una poltroncina in cabina di dosaggio e aveva a che fare con i "computers" [1]. Ricordo con estrema tenerezza quando mi raccontava dei pulsanti da premere, del visore di pesata e di tutto il resto.
Tuttavia da quello che ricordo, non vedevo in lui, né una sorta di appagamento per il lavoro da "impiegato" né tanto meno un velo di tristezza per la mancanza di mezza... testa.
Mi piacerebbe chiederglielo, giusto per capire se non tenesse tutto infondo, laggiù nello stomaco.
Di mezza... testa, cos'altro dire? Ricordo di quella volta che durante una gettata per le fondamenta di un palazzo, risalendo a livello del terreno, in una stradina strettissima ci portammo un pezzo di balcone, ma non c'era davvero altra possibilità di passare, per fortuna fu solo un piccolo pezzo.
Ricordo anche, come il mio posto da passeggero non prevedesse un sedile vero e proprio, stavo diagonalmente dietro al sedile di guida, tra vecchi giornali, qualche tenaglione gigante e tanta, tanta polvere!
Ma era proprio in quei momenti che mi sentivo una specie di re, e da schizzinoso, diventavo orgoglioso e rispettoso di mezza... testa.
Mio nonno, mi permetteva quando necessario, di dare una bella strombazzata e forse di levare il freno a mano, che se ben ricordo era di tipo pneumatico, associo infatti quella mia operazione ad un forte rumore di sfiato di aria compressa. Probabilmente analogo all'attuale sistema frenante della maggior parte dei mezzi pesanti.
In una giornata si facevano mediamente dai tre ai sei viaggi, dipendentemente alla zona in cui si lavorava.
Arrivati al tardo pomeriggio, ricordo mio nonno in cima alla scaletta sopra la benna, con la pompa dell'acqua a lavare bicchiere e organi vari dai residui di calcestruzzo.
Era di nuovo buio come quando eravamo usciti, ci rimettevamo in macchina e mio nonno mi chiedeva: "Sei stanco?" e io: "Ma che? Non ho fatto niente!"
Prima di uscire dal cancello, mi voltavo verso mezza... testa. Alla prossima volta, pensavo tra me.
Nota:
[1] Mio nonno, non aveva le scuole, ma lo scriveva correttamente, mi sorprendevo a vedere come completasse la maggior parte degli schemi, anche quelli più difficili della settimana enigmistica.