Lunedì di Pasqua, 1996
Nonostante la sfiducia che nutro verso di me, sono convinto di essere razionale, libero, non influenzabile dagli eventi e dagli altri: si tratta di un errore grossolano.
Ho la presunzione di non cadere in certe trappole ed è una convinzione ingiustificata, non solo per coloro che sanno invischiarmi nel loro agire, ma addirittura per me che conosco benissimo il mio atteggiamento di fronte alle decisioni.
Lo dimostra la gita di ieri sui colli con Fabio-Marisa-Daniele e Nicolò.
Marisa telefona a Giovanna. Per il pomeriggio ha programmato una gita con Daniele e Fabio sui colli (è un classico del lunedì di Pasqua):
“Viene Nicolò?”
Nicolò stranamente acconsente.
Deve essergli risuonato nella testa il ritornello che gli ho più volte ripetuto: sei sempre a casa con i tuoi vecchi, devi aprirti all'esterno, diventi anche tu come me e via discorrendo. Suggerimenti che sono il contrario del comportamento che il mio carattere mi impone, ma che do ai miei figli nella convinzione che essi non debbano seguire il mio esempio.
L’inattesa risposta di Nicolò mi impone una decisione preconfezionata: sulla Citroen ZX di Fabio c'è un posto disponibile ed io mi sento meglio se Nicolò è con me.
Accetto dunque di partecipare alla gita pomeridiana, pur consapevole che la modifica della mia tipica giornata sarà fonte di turbe psichiche mal dissimulate da un ostentato atteggiamento di distacco dagli eventi. Mi sorregge la considerazione che questi scombussolamenti costituiscono l'unica possibilità di creare ricordi definiti. Ci si ricorda dell'episodio particolare, di una particolare giornata non del cumulo di giornimesianni che hanno prodotto il presente.
Fabio sa già dove recarsi. E il bello è che ci arriva.
Ogni volta che mi reco sui colli, giungo sempre casualmente nel posto desiderato. Torno anche a casa senza mai scendere dalla macchina: il posto cercato è riuscito a mimetizzare con efficacia le vie di accesso. E’ accaduto poche domeniche fa con Nicolò il quale, dopo due ore che giravo intorno al Monte Cero, la meta che mi ero prefissa, si è addormentato con chissà quale opinione di suo padre.
Il luogo è un monte nei pressi di Vo' Euganeo.
Fabio lo ha scoperto qualche anno fa trasportando con il furgoncino un carico di duecentomila api per conto di un amico che voleva produrre miele di castagno.
Posteggiata la macchina partiamo verso il bosco di castagni che riveste il pendio.
Subito Marisa incomincia a galoppare come una puledra liberata.
Canticchia e chiama: "Zeno, Fabio, Nicolò, Daniele ... non di là, ..di qua, ... su... venite !"
C'è poco da discutere: bisogna correre.
Io ansimo mentre il pendio si fa più ripido e penso alla mia età.
Comunque piano piano arrivo dove arrivano Marisa, Fabio Daniele e Nicolò.
Fabio in realtà propenderebbe, come me, per un avanzare più calmo con qualche momento di riposo che consentisse di osservare con attenzione e gustare il paesaggio.
Ci sono molti fiori, belli e vari come mi aveva preannunciato.
Mi sorprende l'esistenza di viole bianche e pure non mi aspettavo che qui crescessero i muscaria blu che ho piantato nel giardino di casa.
Marisa invece fa pressing, canta la "barchetta in mezzo al mare...", ride e vuole divertirsi in forma esponenziale: i minuti vissuti devono essere pieni come fossero ore.
Non mi resta che seguirla perché tutti i componenti della spedizione lo fanno.
Se ci arrischiamo a percorrere il sentiero normale, dobbiamo aver pronte argomentazioni rigorose per indurre Marisa a non costringerci ad un percorso di guerra.
Ad un bivio Fabio cerca di spiegarle che, se scendessimo il pendio che Marisa sta per affrontare, finiremmo dalla parte opposta ad una decina di chilometri dal punto in cui è parcheggiata la macchina. Marisa è assolutamente sicura del contrario, ma alla fine, delusa, cede constatando con dispiacere che io concordo con il parere di Fabio.
Sono salvo, penso: non faremo percorsi incerti, faticosi e pericolosi.
Era uno dei tanti errori che ho sempre commesso. Avevo sottovalutato la determinazione e la fortuna di Marisa. Il percorso trappola mi stava aspettando più in alto dopo il tranquillo arrivo in cima al monte.
Mentre scendiamo per il sentiero normale, ci fermiamo ad osservare il paesaggio. Daniele, apparentemente senza intenzioni bellicose, seguito da Nicolò, si dirige verso il centro del bosco.
Ma Daniele è figlio di Marisa, e Nicolò, che forse un po' mi assomiglia, sottoposto a pressioni fuori del suo ambiente naturale, cede alle iniziative degli altri.
Fabio li segue, sembrerebbe con noncuranza, così, giusto per dare un'occhiata, ma con il sano proposito di tornare al più presto sul sentiero maestro.
Marisa invece si lancia verso i ragazzi. Ha intuito il momento propizio. Stavolta ci porterà fuori strada. C'è ancora la mia resistenza da vincere: io sono ancora abbastanza convinto di poter seguire il sentiero sicuro.
Marisa non demorde.
Insiste.
Mi chiama.
La sua voce acuta ripete: "Zeno,.. di qua,.. si scende,.. non è pericoloso!...un po' di spirito di avventura ... ".
I ragazzetti nel frattempo sono scomparsi.
Anche Fabio continua la discesa.
Gli chiedo com'è il terreno, con la certezza che mi risponderà "difficile, meglio tornare indietro"
Mi sbaglio.
"Si può scendere" mi informa.
Forse perché non vede più Daniele e vuole rintracciarlo, forse perché vuol compiacere Marisa, forse perché si sbaglia, sta di fatto che io ormai dovrò scendere da solo lungo il normale sentiero.
Ma penso a Nicolò che sta scendendo e, per un attimo, credo di nutrire eccessivi timori.
E' quello il momento in cui cado nella trappola.
Comincio anch'io la discesa.
Per un inspiegabile motivo, forse l'effetto di una momentanea forza ipnotica emanata da Marisa, le mie preoccupazioni mi fanno un po' sorridere e tutto, per qualche secondo, mi sembra facile.
E' il tempo sufficiente perché la trappola si chiuda.
Quando finisce lo stato ipnotico indesiderato, mi risveglio in mezzo alle foglie secche del pendio a 80° gradi.
Il sentiero sopra di me scompare.
Alle mie spalle un muro di foglie e alberi che io non sarò mai più in grado di oltrepassare.
Davanti una discesa la cui pendenza media si aggira sui 90° gradi.
Risalire m’è dunque impossibile: sono costretto a scendere.
Guardo avanti.
Daniele e Nicolò non si vedono e non si sentono.
Il cuore trema e le gambe si svuotano.
Comincio a raffigurarmi scene tragiche.
Le rassicurazioni di Marisa che si prodiga in accurate istruzioni su come e dove mettere i piedi, a quali rami appigliarsi, eccetera eccetera, non mi tranquillizzano, tanto più che noto nella sua voce un'incertezza prima inesistente. Forse sono sbiancato in volto, forse si accorge che l'ironia non mi sorregge più, forse la sua sensibilità medianica le fa percepire i battiti preoccupati del mio cuore. Forse pensava che io fossi diverso, un uomo più uomo, più coraggioso, deciso, rassicurante, e adesso è delusa di constatare il suo errore e pentita di avermi trascinato in una situazione da cui devo uscire senza che lei possa aiutarmi.
Spero che Fabio, fermo qualche decina di metri più avanti, mi dia buone notizie. Credo sia fermo perché ci sta aspettando. Ma ancora una volta sbaglio: "di qua non si può scendere" ci fa sapere con un'intonazione tremante nella voce che annulla ogni speranza. Infatti aggiunge:" Ci sono le rocce ripide e umide viste nel salire!"
Mi sento disperato.
Lo dovevo capire. Ora riesco a vedere bene l'espressione di Fabio. Ansima. I lineamenti del viso stanno deformandosi e seguono il disegno tracciato dall’incipiente terrore.
Anche il volto e la voce di Marisa , ora consapevole che non c'è più rimedio, tradiscono preoccupazione e timore.
Mi aspetta. Mi indica quello che secondo lei è un sentiero, ma che in realtà non è nulla.
Chissà in quali tempi remoti questo pendio ha avuto a che fare con esseri umani!
Per avere più libere le mani, metto al collo la mia ASAHI PENTAX SPOTMATIC, ma immediatamente la tolgo pensando che, scivolando, potrei rimanere impigliato in modo da finire impiccato dallo spago rosso che sorregge la macchina fotografica. Per fortuna le trovo un posto infilandola nella tasca del giubbino.
Penso di fermarmi.
Immagino i possibili soccorsi.
Come possono salire e portarmi in salvo? Con quali mezzi?
Potrà essere utilizzato l'elicottero?
E chi riuscirà a chiamare i soccorsi! A chi bisognerà rivolgersi?
Guardo il cielo. Mi sembra in arrivo un temporale.
Guardo le foglie secche e gialle. Come fossimo in autunno. Chissà perché mi chiedo. Poi vedo gli alberi bruciacchiati, forse da un incendio domato da poco.
Un incendio nel bosco!
Ecco quel che può succedere!
Questo bosco brucia in un attimo. Sento già il calore salire ed il fumo soffocarmi.
Nel frattempo seguendo Marisa arrivo al punto in cui Fabio si era bloccato. Non c'è il precipizio che temevo. Il pendio è insidioso; si scivola ma per fortuna riusciamo a superare il pericolo.
Chiamo Nicolò.
Fabio chiama Daniele.
Non rispondono.
Poi finalmente due vocine lontane. "Siamo qui, siamo arrivati, siamo nel campo di prima". Avverto in quei suoni un'angoscia finalmente superata.
Prendo coraggio. Forse anch'io posso farcela.
E così è stato.
Sono arrivato sfatto nel campo.
I jeans mi erano scesi di 20 cm.
La camicia completamente fuori.
Ma niente di rotto.
Meno male.
E' finita.
Mi siedo su un sasso e guardo intorno.
Il cuore si cheta.
Respiro.
Il pensiero corre immediatamente a Giovanna. Ne esalto la saggezza. Lei non si farebbe trascinare in un'avventura come questa. Lei gradisce le avventure semplici. Quelle che si svolgono a casa. Alzarsi presto la mattina, se proprio è necessario recarsi a scuola, fare il giretto nell'orto e nel giardino, tornare a casa da scuola gioiosa in bicicletta pregustando il pomeriggio di libertà, fare un bel pranzetto magari col sughino che io le so preparare e che trova tanto buono, fare un bel riposino al pomeriggio, alzarsi e fare un giretto nel giardino in mezzo ai fiori, guardare le galline, cercare le uova, parlare con Giacomo, il bimbetto dei nostri vicini, preparare la cena, guardare la TV e mangiare "brustoline", andare a letto e istruirsi politicamente con il Maurizio Costanzo Show.
Tornando in macchina Fabio confessa di essere scivolato. Ora ha il braccio destro dolente. Era dunque una smorfia di dolore che gli avevo vista disegnata sul volto nel momento in cui si era fermato.
Marisa minimizza, esalta l'avventura, inneggia all'uscita dalla normalità.
Io ormai sono più sereno.
Piove: il temporale era proprio in agguato. Ma la Provvidenza ne ha ritardato l’evolversi permettendomi di concentrarmi sulle difficoltà della discesa.
In macchina racconto le mie impressioni esagerando, ma non troppo, la paura.
All’arrivo Nicolò vuole che racconti tutto a Giovanna.
Lei sta lavorando china in mezzo ai fiori.
Appena sente il nostro arrivo si alza e mi rivolge il solito gioioso sorriso.
Mi chiede com'è andata. E' proprio quel che Nicolò desidera.
Sto per iniziare il racconto mentre Nicolò e Daniele si preparano ad ascoltare.
Mi avvicino a Giovanna.
Una pausa.
Comincio:
“Sono salvo !”
le dico abbracciandola e stringendola.
Libro
il racconto è inserito anche in questo libro cartaceo