Ecco, ogni tanto mi viene in mente di salvare nel computer qualcosa o qualcuno del mio tempo passato.
Vorrei che chi ho conosciuto, le cose, gli ambienti non si fossero semplicemente volatilizzati.
Vorrei che il tempo attraversato non fosse un tubo vuoto.
Non so che significhi questo impulso né a che serva, o a chi, far sapere che cosa e chi ho incontrato nel tubo.
Cerco di ricostruire un ricordo; di tornare mentalmente a parlare con chi era parte del mio mondo, immodificabile allora, scomparso ora.
Possibile che tutto debba finire in niente?
Insomma ingaggio una piccola lotta, persa in partenza, contro l'assenza di significato che riempie il nulla di cui siamo fatti. Cerco nel ricordo un senso anche se arrivo solo ad un alternarsi di sensazioni opposte: il fascino di una bellezza vissuta, il turbamento di un tempo che la dissolve.
A dottrina le suore, di cui non ricordo né un volto né un nome, dicevano che siamo nati per servire Dio, amarlo in questa vita ed adorarlo poi nell'altra in paradiso. Non mi sono mai entusiasmato per le loro affermazioni e, pur non avendo acquisito alcuna certezza, pur desiderando nell'intimità più profonda che tutto possa essere diverso da come razionalmente penso, non mi entusiasmano nemmeno ora. Sarebbe bello se certe favole potessero essere vere, ma è più forte in me il pensiero che la loro verità sia solo la nostra fantasia.
Riflessioni nebulose ed inconcludenti che alimentano comunque l'impulso di fissare i ricordi.
Mentre frugavo in un contenitore di minuterie, fanno in questo caso da catalizzatore le "smanzine", piccoli chiodi prismatici con cui una volta il ciabattino fissava i nuovi tacchi alle scarpe; ed anche la suola di cuoio, perché ogni tanto affiorava qualche puntina all'interno della scarpa se la lunghezza della "smanzina" era eccessiva.
Cosí il pensiero mi è volato su Bepe Ciuzín, ciabattino o meglio, come lo chiamavo nel mio dialetto, “al scarpulìn".
Mi sono ricordato di quel suo bel piccolo tavolino fitto di ripostigli per smanzine, filo, pece, cuoio, lesine e tanti altri attrezzi che ora non so elencare.
Mi sedevo da un lato, mentre dall'altro Bepe infilava la scarpa in una triplice incudine per inchiodare il tacco o la suola.
Non so di cosa parlassimo.
Io bimbo delle elementari, lui analfabeta.
La stanzetta in cui lavorava era un po' buia, ma la postazione era vicina alla porta-finestra e sul deschetto c’era una bella luce.
Mentalmente risento il suono della sua voce di uomo adulto, dal tono basso e leggermente roca, che mi faceva qualche domanda o mi spiegava a cosa serviva l’arnese che prendevo in mano.
Ne rivedo le rughe della lunga faccia, i capelli corti e brizzolati sotto il cappello a tesa larga, gli occhiali dalla montatura di plastica nera, il vestito scuro, il grembiule lucido, i piedi poggiati sulle traversine che univano le quattro gambe del tavolino quasi a livello del pavimento.
Dal quadrato di cuoio ritagliava la suola, con quello strano coltello senza manico.
Poi passava un pezzo di resina marrone e solida sullo spago che gli sarebbe servito per cucire la suola.
Con la "lesna", un punteruolo dal corto e cicciotto manico in legno, preparava i buchi per lo spago con cui avrebbe cucito la suola alla tomaia.
La testa era sempre abbassata sulla scarpa in riparazione; ma qualche sorriso, qualche battuta c’era sempre per quel bambino che gli faceva compagnia.
Era proprio un posto bello quello, dove si facevano cose belle, confortevole, con un bell'odore di cuoio, di colla, di pece.
Trovavo strano che un uomo grande come Bepe non sapesse né leggere né scrivere, ma non gli davo tanta importanza. Bepe sapeva fare quel bel mestiere in quel bel posticino.
Si divertiva, gli piaceva, era il suo lavoro, era conosciuto e considerato per quello.
Infatti era "Bepe Ciuzìn, al scarpulin d’la cabina".
Poi tutto è finito.
Il bambino si è spostato nello spazio e nel tempo.
Bepe ad un certo punto non c’era più.
Poi se n’è andato definitivamente come fanno tutti, ora lo so, non so come né quando.
Da tanto tempo; troppo per ricordare di più, troppo anche per trovare qualcuno a cui chiedere.
Poco per capire od accettare il senso di trasformazioni così totali, che sono l'essenza della nostra vita.
Libro
il racconto è inserito anche in questo libro cartaceo