Estate 2000
Sembra impossibile, ma molti parcheggiano l’automobile proprio all’imbocco della stradina larga cinque metri, in fondo a cui sta la mia abitazione; senza capire, o fregandosene, che non si può più, arrivando dal ponte nuovo, curvare ed entrare nella stradina ostruita, e che si è costretti ad una fermata in mezzo alla strada principale, con tutti i pericolosi inconvenienti che ognuno può immaginare.
E’ gente poco riflessiva, senz’altro pigra, una pigrizia che favorisce la superficialità, sicuramente poco rispettosa degli altri, o indifferente.
Un furgoncino Fiat Ducato, di quelli che viaggiano costantemente a 110 all’ora su qualsiasi strada, e curva o non curva ti sorpassano, era parcheggiato addirittura sulla mezzeria della stradina: anche riuscendo a curvare non si poteva proseguire, il furgoncino lo impediva.
Come al solito ribollii dentro di me al volante della mia auto, facendomi attraversare da parole che cerco in genere di non scrivere:
“Sto’ cretìn, arda ti sl’è la manéra ad parchegiar! I gh'è propia i stronz in zir!”1
- [nelle mie arrabbiature interne uso il dialetto (... padre o madre? ...); insomma il ferrarese dei paesi altopolesani]
Di solito non scendo, spero che qualcuno stia osservando e corra, scusandosi, a rimediare. Stavolta non è così: sono costretto a scendere, dare qualche colpo di clacson. Finalmente arriva il proprietario del Ducato che si scusa e sposta il furgone.
L’episodio potrebbe essere uno dei tanti e finire qui. E finisce qui in effetti, per quanto riguarda il fatto in sé.
Dentro di me rimane però la non poca sorpresa suscitata nello scoprire chi è il proprietario del furgone. Si tratta del fruttivendolo che porta frutta e verdura alla Maria: Broccoletti un cognome che potrebbe sembrare un soprannome.
Non è un mio amico ma è una figura tipica del paese. Se si dice “broccoletti” tutti sanno che si sta parlando del fruttivendolo del mio paese. Figlio di fruttivendolo, fruttivendolo egli stesso, gestisce la bottega all’angolo del ponte di piazza.
Una bottega non molto grande, diciamo pure piccola, ma ciò che ha sempre meravigliato è che, stranamente, dentro c’è di tutto.
Come faccia a starci non si capisce bene, ma Finocchietti vi riesce.
Mele, pere, insalate, carote, banane, pesche, patate, ananas, porri, cipolle, catalogna, zucchine, pomodori, melanzane, prugne, arance, limoni, sedano, prezzemolo, basilico, pinoli...pensate, qualche stranezza, che so? un frutto del Madagascar, il litchi ad esempio: be' c’è pure quello! E ciliegie, nespole, “favoina”2, bagigi3, noci, pistacchi ecc. ecc.
E ciuccetti colorati di ogni tipo. Una fila di scatole trasparenti allineate su uno scaffale, li contiene: mordibi, gommosi, sembrano di plastica, ma sono dolce gioia di ogni bimbo che passa di lì ed è come se passasse davanti ad una bancarella della fiera.
E caldarroste nell’autunno nebbioso, e “anare mute”4.
C’è perfino l’olio d’oliva extravergine 100% italiano.
E più si sta lì fermi a guardare sempre cose nuove emergono dall’insieme che sembra pulsare di colori, come una magia.
L’esposizione, spesso si estende anche all’esterno della piccola bottega.
Per farla breve, è una botteghetta colorata ed ordinata, ed è proprio l’ordine che fa trovare il posto ad ogni prodotto. Non si può non pensare alla passione di chi la gestisce. Per lui frutta e verdura non sono solo oggetto di vendita; con esse realizza quadri sempre nuovi, magari, mentre le dispone sugli scaffali, sorridendo costruisce volti come faceva l’Arcimboldo5 qualche secolo fa.
“Cossa voto ch’a ghe sia in chea botegheta”6
dice a volte Marco a mamma mentre stiamo pranzando.
Giovanna cade nel tranello della risposta automatica ed anche se se ne rende conto non riesce a non emetterla:
”Eh no, ea par pìcoa, ma dentro gh’è de tuto!”7
Nicolò ride già prima della risposta ormai nota della mamma.
Da qui la mia sorpresa per quel superficiale parcheggio col Ducato: uno ordinato e preciso come Finocchietti dovrebbe essere esente da simili facilonerie e trascuratezze irrispettose.
Passa qualche tempo e Giovanna un giorno, non ricordo bene quando, ah si’, dopo aver portato il regalino per la prima Comunione di Giacomo (aqa, ovo, omo...! Mamma mia come passa presto il tempo!), torna dalla casa di nonna Gianna, con una notizia bomba: per me e Giovanna, ma ormai, ha assicurato la Gianna, “lo sa tutto il paese!”
“La sai l’ultima?” mi chiede dunque Giovanna.
“No”, dico. Del resto io non so mai nulla e se prima non ci facevo caso, ora mi disturba perché sembra l’eco di un segnale che mi ripete “vedi, sei passato attraverso una bella fetta di vita e non ti sei mai accorto di nulla, non hai mai visto nulla”. Comunque bando ai miei cortocircuiti mentali. Torniamo a Giovanna:
“Finocchietti ha deciso di mollare tutto!”
“Come tutto?”, replico mentre penso alle “anare mute”, acquistate nei sabati nebbiosi di questo difficile inverno, ancora calde nel sacchettino di carta mentre uscivo dalla luminosa e colorata botteghetta: “Ae ghemo proprio pena fate”8 mi assicurava Broccoletti in persona.
L’informazione di Giovanna è incredibile.
“E sai perché?” continua Giovanna.
Sono le notizie che più la eccitano perché si accorge che esistono fatti reali più densi ed inaspettati di qualsiasi sbrodolosa soap opera che guarda in tivù.
“No”, rispondo ovviamente.
“Ha deciso di vendere la bottega, abbandona moglie e figlio, e se ne va in Romania.
Con una rumena!”
Un fulmine a ciel sereno, come si dice, parrebbe; ma è un fulmine che m’illumina lo strano parcheggio di qualche mese fa.
La sua testa dunque aveva già iniziato l’abbandono di frutta e verdura, della sua vita passata, tutta, del suo paese, di tutti, per andare lontano a dimenticare, a ricominciare, a cercare emozioni e gioie scomparse dai colori delle arance, della verdura e dei ciucci.
Perché è successo?
Le interpretazioni fioriscono ed ognuno dice la sua, ognuno interpreta la scelta di vita di Finocchietti alla luce della sua vita, delle sue teorie, delle sue abitudini, dei suoi pregiudizi.
Io non sono da meno e mi accorgo di avere delle idee comunissime che non so giudicare: non so se siano mie, non so perché le ho, certamente non servono a molto per capire e ci sarà sempre un abisso invalicabile tra le spiegazioni teoriche che si danno ad un’altra scelta di vita e quella stessa scelta, drammaticamente concreta.
“L’è deventà mato” dice la Maria
“El gaveva messo apena a posto la bottega, do ani fa, si do ani, el gheva fato un bagneto anca, là in fondo. Zinquanta ani che so papà el gheva invià l’atività, me ricordo, j’ero in jutificio, con la bicicletta l’andava a tòre le cassete de verdura, sì, al la portava via par vendarla. E mi digo che chea botegheta lì la vendéa più de quea dea boutique dea fruta de Pirazin, sì, la vendea de più. E po’, lì vizìn, ghera el tabachìn, de fronte al macelaio, la zente l’andava lì e la comprava quasi tuto. Al tegnea anche el cafè...
Na volta el ga dito ala mama dea Micaéa che l'andava in ferie par un poco...
Sì, e se taca fora el carteo "Affittasi" quando ca se va in ferie?
E po’ co sto fiolo...poarin...mah, mi digo, che l’è propria deventà mato!
Ormai se ne sente tanti. Me sorea la me dise: “se du i sta insieme tanto tempo, bisogna farghe na corniseta; si, cussì ea dise; ea ga rasòn!”.
Mah!
S'al fusse anca un bel omo, ma co sti du oci in fora, non non l’è beo no, non l’è proprio beo! L’è deventà mato e basta”9
Io non ho presente la moglie, anche se mi ha servito qualche sacchetto di caldarroste quest’inverno. Il figlio non l’ho mai visto, ma ha già vent'anni. So che ha avuto ed ha problemi di salute. Io però non avevo mai pensato alla sua vita privata.
Broccoletti era “il fruttivendolo”, per antonomasia. Era in una posizione strategica per fruttivendoli, o così almeno la sua attività l’aveva fatta diventare.
Chiunque frequentasse la bottega aveva l’impressione di persona realizzata.
Si, si sapeva dei problemi del figlio, ma si pensava, io almeno, che avesse trovato la forza di accettare, di essergli vicino nella vita difficoltosa, insieme alla moglie che lo aiutava in bottega.
La bottega era rimasta ricca e colorata, costante meta domenicale di molti bambini, sui quali esercitava il fascino da me provato quando la domenica pomeriggio, anch’io bambino, correvo a spendere le cinquanta lire di mancia nel box di legno verde “dla Mafalda e dal Maruscàn” i fruttivendoli del mio paese natale. Maruscàn era di sicuro un soprannome: veniva dal sud, “l’ea t’gnuscèst la Mafalda durant la guera e i s’era spusà’”10. I ciucci di allora erano meno colorati, erano neri, figurine di liquirizia che non potevano non avere un epiteto particolare in un paese ricco di soprannomi: li chiamavamo “i disocupà” e quando un bambino, io per esempio, si lamentava per i pochi soldi disponibili diceva: “a’n son gnanca bon ad cumprarm un disocupà”11.
“Còssa gale ste rumene, ungheresi e cubane?” commenta Giovanna "non l’è mina al primo ch’al fa sto colpo de testa!”12.
Già cos’hanno?
Anch’io tendo a pensare in modo convenzionale, penso anch’io al colpo di testa anche se i pensieri fluttuano si allargano e costruiscono spiegazioni diverse legandosi ad esperienze dirette più o meno vissute, alle fantasticherie più o meno pronunciate dei periodi di crisi. Perché i periodi di crisi ci sono, vengono senza farsi annunciare e poi si stabiliscono senza pudore dentro di te e scacciarli è un lavoro necessario ma difficile, molto difficile.
Penso al colpo di testa soprattutto quando si manifesta in un protagonista che non appare incerto nella società, anzi ne è una figura significativa, che in un certo senso definisce un pezzetto di quella società. Il suo cambiamento non muta solo la sua vita ma cambia le consolidate abitudini di un quartiere.
Ma dentro Broccoletti è cresciuta deformandosi una vita da cui ora, a cinquant'anni, desidera e decide di fuggire. E’ facile dire colpo di testa. Ma colpo di testa perché? Una malattia fisica che riguarda solo i neuroni, magari scritta nei geni, o qualcosa di diverso, ignorato da chi viveva con lui, o sottovalutato, un tempo forse rimediabile ed ora non più?
Queste rumene o ungheresi portano dentro un ambiente statico la novità della loro vita da ricominciare. Hanno lasciato la loro terra per trovare più facilmente il cibo che là non trovavano. Ed allora la loro nuova libertà, la loro nuova ricerca di felicità, egoistica se vogliamo ma provocata da eventi di cui non sono state le prime responsabili, può scardinare le tristezze represse di vite senza entusiasmi.
E dalla piattezza di ogni giorno, monotona autostrada verso la fine dei desideri e della gioia di vivere, la loro voglia di vivere e ricominciare può far nascere una dirompente necessità di riscoprire gioie dimenticate, incagliate nella trappola delle abitudini.
Forse saranno nuove illusioni che si ritrasformeranno in abitudini ma solo il tempo le verificherà.
Anche il macellaio di fronte ha saputo solo dirgli: “Ti a te sì mato”.
Ma non c’è stato nulla da fare. Broccoletti ha proprio deciso. In Romania o qui non si sa ancora, c’è chi dice che lavorerà sotto padrone, ma sulla saracinesca chiusa del negozio c’è proprio scritto “Affittasi” .
E tutti in silenzio traducono:
“La mia attività di fruttivendolo qui è finita, come è finita la vita che non riuscivo più a sopportare.
Spero di aver trovato la voglia di vivere che la mia rumena mi ha mostrato. Non so se ho indovinato, se ho sbagliato.
Spero di non fare soffrire troppo chi forse mi ha voluto bene, un bene che poi si è perso e non ho più ritrovato.
Spero di non essere caduto in una trappola. Però dovevo tentare: la mia testa era volata via lontano dai colori della mia frutta e verdura.
Spero di ritrovarla e di riconciliarmi con essa e con la vita intera”
Note
- Questo cretino, guarda tu se è il modo di parcheggiare. Ci sono proprio gli stronzi in giro!
- Luppolo
- noccioline americane
- Patata americana arrostita
- Pittore del ‘500 che si specializzò in ritratti composti di ogni specie di ortaggi.
- Cosa vuoi che abbia in quella piccola bottega
- Eh, no sembra piccola, ma dentro c’è di tutto!
- Le abbiamo proprio appena arrostite
- E’ impazzito. Aveva da poco sistemato la bottega, due anni fa, aveva ricavato un piccolo bagno anche. Cinquanta anni da quando suo padre aveva iniziato l’attività. Mi ricordo, io lavoravo nello iutificio e lui con la bicicletta andava a prendere le casse di verdura per venderle. Io dico che quella bottega vendeva più di quella di Ferracin, si vendeva di più. E vicino c’erano il tabacchino ed il macellaio: la gente andava l’ e comprava tutto. Teneva anche il caffè. Una volta ha detto alla mamma della Micaela che si prendeva un periodo di ferie. Si, e si appende il cartello Affittasi quando si va in ferie? E poi con questo figlio, poveretto, ma secondo me è proprio impazzito. Ormai se ne sentono tanti: mia sorella dice che a quelli che stanno insieme per molto tempo occorre fare una cornicetta. Si, così dice, ed ha ragione. Ma.. Se fosse anche un bell’uomo, ma con questi occhi prominenti, no non è per niente un bell’uomo. E’ impazzito e basta.
- Aveva conosciuto Mafalda durante la guerra e si erano sposati
- Non sono in grado di acquistare nemmeno un disoccupato!
- Cos’hanno queste rumene, ungheresi, e cubane? Non è il primo che perde la testa!